Eric
ERIC
Tino Berti
Fra tutti noi deportati degenti nel sanatorio di Vechelade, Eric era il più giovane. Avrà avuto si e no 17 anni. Alto, allampanato, biondo, con degli occhi chiarissimi, avrebbe potuto sembrare un giovane da manifesto della razza ariana se non fosse stato per quella leggera incurvatura che già denunciava, a quella giovane età, malattie e sofferenze.
Non mi ero accorto della sua presenza nel sanatorio, non avevo mai avuto l’occasione d’incontrarlo. Verso la metà di giugno del 1945 gli venne notificato l’ordine di trasferirsi in un sanatorio della Westfalia, vicino a Osnabrueck, ma egli rifiutò con con tutte le sue forze. Si trovava bene con noi, aveva legato con dei compagni italiani, tutti ex prigionieri di guerra, ed un giorno venne da me, accompagnato dai suoi amici italiani, che perorarono la sua causa e mi pregarono – dato che conoscevo la lingua – di intercedere presso il prof. Martin, nostro primario e nel contempo direttore del sanatorio, affinchè gli fosse concesso di rimanere a Vechelade.
Dopo alcune titubanze e dopo avergli spiegato che quello in cui sarebbe stato trasferito era un sanatorio vero, non un insieme di baracche attrezzate per l’emergenza, come quello in cui ci trovavamo, viste le lacrime che gli inondavano il viso, il prof. Martin si commosse e promise di aiutarlo.
Per tutta risposta Eric gli si gettò addosso e lo abbracciò, tanto che il primario mi chiese:” Ma cosa hanno fatto a quel ragazzo i suoi compagni italiani dal momento che lo vedo sempre così attaccato a loro?”
“Veramente non Le so rispondere” gli dissi” Io, è il primo giorno che lo vedo”.