Redazione RecSando – Angela Vitanza
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Trasgredire, cosa vuol dire?
Sabato sera 24 gennaio sono tornata a rivedere “ Il mito di Sisifo”. L’avevo visto al teatro Ariston lo scorso anno, e mi aveva colpito molto.
I motivi sono tanti, e si potrebbe partire dalla fine: Sisifo, giunta la sua ora, dopo aver raggirato Ade con uno stratagemma, dovrà fare i conti con la sua coscienza, un fardello pesante, che in vita non aveva ascoltato, e per l’Eternità. (E a noi.. capita di di sentire la voce della coscienza? L’ascoltiamo?)
A portare in scena, sul palco dell’Oratorio San Marziano di Sesto Ulteriano, una “strana copia” della leggenda che ci narra di questo personaggio della mitologia greca, il “gruppo della trasgressione”, formato da detenuti delle carceri di Opera Bollate e San Vittore, oltre ad alcuni loro “educatori”, studenti e lo psicologo Jurij Aparo, che oltre a seguire i detenuti nel loro percorso da trentacinque anni, dello spettacolo è anche il regista. Il quale, all’inizio, ci dice che tutto ciò che sentiremo è deciso al momento. Non è un copione imparato a memoria, anche perché per vari motivi, gli attori non possono essere sempre gli stessi, a causa di permessi, trasferimenti, assenze….ragione per cui le parti sono intercambiabili.
Galleria Fotografica – (n.d.r. – I volti dei detenuti sono volutamente nascosti)
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Ne nasce così una recitazione a tratti persino esilarante e divertente, con uno Zeus che dialogava in dialetto siciliano!, con riferimenti non troppo velati a situazioni politiche d’attualità, con la descrizione di conflitti familiari adolescenziali…
Per chi non ricordasse, brevissimamente il sunto della storia: “Sisifo, re fondatore di Corinto cercava di risolvere il problema della mancanza dell'acqua nella sua città, quando vide Zeus con Egina, figlia del dio dell’acqua Asopo, Asopo chiese a Sisifo notizie di sua figlia, e lui in cambio dell’informazione, chiese di riavere l'acqua per la sua città. Asopo gliela promise così Sisifo rivelò che la figlia era stata rapita da Zeus. Quando Zeus venne a sapere che Sisifo aveva parlato, chiese a suo fratello Ade di catturarlo. Sisifo, tuttavia, con uno stratagemma si fece rimandare sulla Terra, e riuscì a sparire non tenendo fede al patto fatto con la divinità degli inferi e rimanendo nel mondo dei viventi. La morte sopraggiunse naturalmente, ma come punizione per aver osato sfidare gli dèi, Zeus decise che Sisifo avrebbe dovuto spingere un masso dalla base alla cima di un monte. Ma, ogni volta che egli raggiungeva la cima, il masso rotolava nuovamente alla base del monte. Ogni volta, e per l'eternità, Sisifo avrebbe dovuto ricominciare da capo la sua scalata senza mai riuscirci.” (ci fa paura una simile prospettiva?)
Lo spettacolo approda proprio a Sesto Ulteriano, nel salone gremito di fedeli della Parrocchia guidata da don Antonio Loi, che alcuni dei detenuti li incontra settimanalmente, in quanto cappellano di Opera da dodici anni.
E l’idea di volerli “a casa sua”, nella ricorrenza della Festa della Famiglia, è uno dei motivi che mi ha spinta ad esserci. Tra loro ci sono padri, figli, fratelli…che la famiglia non la possono vivere. Oppure…come ha testimoniato proprio un personaggio, (ometto volontariamente i veri nomi), “se sono qui, è proprio una conseguenza della mia tragedia familiare, dovuta alla violenza imposta alla famiglia da mio padre”.
Questa e altre testimonianze, prima e dopo la rappresentazione, fanno dello spettacolo una lezione di “psicoterapia di gruppo”, dove attori, educatori, studenti, psicologo e pubblico si confrontano “in Libertà”.
Così scopriamo dalle loro parole il rapporto che corre tra loro, il modo di trattarsi, che a volte fa scaturire risi e sorrisi. Scopriamo che trasgressione è desiderio di trasgredire alle regole, ed è insito nella natura dell’uomo. Che trasgressione può diventare creatività. “Scopriamo” che anche Francesco d’Assisi trasgredì alle regole della società di allora, rifiutando la logica della ricchezza, sposando la povertà.
(Anche oggi abbiamo un Francesco…).
Trasgredire, sbagliare.. ma in fondo chi non ha mai sbagliato nella vita? Da questa domanda parte il dialogo con il pubblico, chi se la sente comunica le proprie riflessioni su alcuni punti da cui sono stati colpiti. E rispetto ad altri incontri, dove in simili situazioni regna il silenzio, molte persone hanno sentito “il bisogno” di esprimere il proprio pensiero. Ne esce una bella discussione sulle storie di vita quotidiana, simili per certi versi alla quella rappresentata. Si tocca un tema forte, la droga, spaccio e uso. Un ragazzo, dentro per spaccio racconta…chi la spaccia cerca il realizzo economico immediato, disinteressandosi della morte che semina. Chi la usa è un fragile, che di immediato abbisogna di felicità…..
Certo, i macigni che questi ragazzi si portano sulle spalle sono più o meno pesanti, ma in queste serate sono sicura non si sentono soli a portarli. Di contro, e mi ripeto, mi sembra così strano, sapere che seduto davanti a me, senza sbarre che ci separano, ci possa essere un detenuto. Lo stesso che magari se sentissi parlare di lui al TG, mi farebbe paura, o mi darebbe sensazione di rabbia.
La serata finisce con una dolce melodia cantata da due adolescenti dell’oratorio.
Per farci sentire tutti in famiglia.