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Coronavirus: Intervistiamo il Prof. Solimine Giovanni

Il valore aggiunto dell’informazione di N>O>IRecSando è sempre stato il territorio. Nel mondo di oggi, globalizzato e totalmente interconnesso, il discutere di ciò che ci accade accanto è davvero un plus spesso dimenticato. Ma viviamo giorni veramente difficili, nei quali l’informazione che ci giunge dall’altra parte del mondo può essere facilmente assimilata a quella della porta accanto.

Partendo da questo assunto, abbiamo ritenuto di compiere un’operazione importante andando a intervistare esperti e personalità che nella crisi sanitaria, economica, politica e sociale attuale hanno ognuna qualcosa da dire e da dare. Crediamo, sempre dicendolo modestamente, di esserci riusciti. Ma a Voi la parola finale. Buona lettura.

 

Intervista al Prof. Solimine Giovanni , ordinario di “Biblioteconomia” e di “Culture del libro, dell’editoria e della lettura” presso l’Università La Sapienza di Roma

 

DOMANDA:

1 ) Buongiorno  Prof. Solimine, Lei è ordinario di “Biblioteconomia” e di “Culture del libro, dell’editoria e della lettura” presso l’Università La Sapienza di Roma. Partendo da tali premesse, potrebbe essere scontato pensare che, in un momento di tragedia nazionale come quello che stiamo vivendo tutti noi, almeno un piccolo lume possa rivelarsi quello che, dovendo tutti noi essere forzatamente relegati nelle nostre abitazioni, la lettura di un buon libro, anche fruito digitalmente, ci possa allietare mente e spirito. Altresì, partendo sempre da questa reclusione forzata, si sarebbe potuto pensare che l’equazione più tempo in casa più libri letti divenisse un fattore quasi tautologico. Invece ascoltando alcune sue osservazioni fatte a Radio Rai 3 non è stato proprio così ci è parso di capire, giusto?

RISPOSTA:

Nelle prime settimane di distanziamento sociale ci eravamo illusi che la reclusione forzata avrebbe spinto la gente a leggere di più. Pare che ciò non sia avvenuto, per varie ragioni. In primo luogo, perché la produzione editoriale è stata bloccata e quindi non sono uscite le novità annunciate per la primavera, e poi perché le biblioteche erano chiuse e le saracinesche delle librerie erano abbassate. Quindi, la possibilità di leggere era affidata alla presenza di libri in casa. I dati Istat ci dicono invece che una famiglia su dieci non possiede nemmeno un libro e che, anche nei casi in cui è presente una libreria domestica, il numero di libri disponibili è molto basso: un terzo delle famiglie italiane possiede non più di 25 libri. Ma anche il 20% di chi ha oltre 400 libri in casa dichiara di non averne letto nemmeno uno. Quindi, i libri non sono oggetto familiare per una buona parte dei nostri concittadini, non fanno parte della quotidianità e non potevamo aspettarci che da un momento all’altro comparissero e conquistassero uno spazio nella nostra vita. In questa settimane è cresciuta abbastanza la lettura di libri elettronici, ma anche questa è un’abitudine che non si improvvisa.
Nemmeno il modo diverso di fare scuola ha prodotto effetti positivi sulla lettura: potevamo sperare che l’interruzione dell’attività scolastica potesse rilanciare la lettura, essendo il libro un naturale complemento della lezione frontale e il principale strumento per lo studio individuale. Ma la lettura è assente dalla scuola italiana, almeno in gran parte dei casi: la scuola continua a martellare i ragazzi dicendo che leggere è importante, ma poi non trova il tempo per la lettura all’interno della vita giornaliera delle classi, confinandola ai periodi di vacanze o al lavoro da fare a casa, in aggiunta ai compiti. Una proposta di lettura formulata in questo modo non è credibile: se la lettura è importante bisogna trovarle spazio nell’orario scolastico, come si fa con le diverse discipline, con la religione, con la ginnastica. Anche in questo caso, quindi, se molti insegnanti non prevedono nel loro piano di lavoro la lettura come pratica formativa, non potevano poi tirarla fuori come un coniglio dal cilindro nel momento in cui hanno fatto didattica a distanza.
Il vuoto che si è determinato con il blocco o la riorganizzazione delle attività lavorative e di studio in modalità smartworking è stato riempito in altro modo: è cresciuta di molto la navigazione in rete e la visione dei programmi informativi in tv (i canali televisivi generalisti sono quelli che hanno incrementato maggiormente i contatti). La gente si è dedicata anche ad altre attività, più rilassanti, come la cucina, per esempio.

DOMANDA:

2) Riprendendo il senso della prima domanda che Le abbiamo rivolto, possiamo forse aggiungere di essere stati troppo fiduciosi nel credere in un incremento dei lettori proporzionale al maggior tempo trascorso fra le mura domestiche. Questo forse perché quando cambia il paradigma delle nostre esistenze, allora conseguentemente qualsiasi tipo di offerta, e quindi anche il libro e la lettura, andrebbe totalmente ripensata. Può essere questa una spiegazione plausibile?

RISPOSTA:

Il vero problema è questo, infatti. Tutti abbiamo avvertito in queste settimane un senso di straniamento. La nostra vita è cambiata e non sappiamo neppure descrivere come.
Forse certi cambiamenti sono irreversibili e ce li ritroveremo anche quando si tornerà a una certa normalità: non sarà il ritorno alla situazione precedente, a quella normalità cui eravamo abituati, ma una nuova normalità cui dovremo gradualmente adattarci. Cambieranno le relazioni tra le persone.
I diversi operatori del mondo del libro – autori, editori, librai, bibliotecari, anche insegnanti – e le autorità che a livello nazionale o locale hanno la responsabilità delle politiche pubbliche per la cultura e per la lettura, debbono rendersi conto che tutta l’offerta va riprogettata, alla luce di quelli che saranno gli stili di vita e di apprendimento, l’uso del tempo libero e i comportamenti culturali nei prossimi decenni, nel mondo che sarà pesantemente condizionato dalla pandemia da COVID-19. Dobbiamo cominciare col chiederci quale sarà lo spazio per il libro e per la parola scritta in un mondo che improvvisamente si è trovato scaraventato su un’orbita totalmente digitale.
Vedo che ora le associazioni degli editori e dei librai giustamente chiedono al governo di sedersi a un tavolo per concordare gli interventi necessari a sostenere le imprese e incentivare la domanda di libri, per far ripartire il mercato editoriale ed evitare la chiusura delle piccole case editrici e delle librerie indipendenti che guardano al futuro con grande preoccupazione.
Ma non basta, perché questi provvedimenti potrebbero, nella migliore delle ipotesi, riportare il settore alla situazione di partenza, che già non era esaltante prima del lockdown: il fatturato complessivo del mercato librario nel decennio scorso era sceso da circa 3,5 miliardi di euro a 2,7 e solo da un paio d’anni era tornato sopra i tre miliardi; nell’ultimo quinquennio circa 2300 librerie hanno chiuso i battenti; gli utenti delle biblioteche si sono ridotti di circa il 30% quasi ovunque.
Bisogna approfittare di questa crisi per progettare una nuova proposta e fare un salto di qualità: servono investimenti in tecnologie, sperimentazione di nuovi prodotti editoriali e nuovi circuiti distributivi, formazione degli operatori a nuove funzioni. Serve un aiuto dello Stato ma anche un impegno progettuale da parte dei vari soggetti della filiera del libro, se vogliamo che l’editoria possa essere pronta a giocare la partita della rinascita.  

DOMANDA:

3) Mai come in questo periodo, si è compreso come la scuola italiana presenti grave carenze digitali, unitamente a quelle strutturalmente note. I nostri ragazzi, costretti a casa dal confinamento imposto dalla pandemia in atto, spesso non dispongono individualmente dei dispositivi digitali necessari alla trasmissione del sapere a distanza, e tale presa d’atto del ‘digital divide’ italiano fotografa una situazione anch’essa talvolta pandemica. Lei ha scritto, assieme al giornalista di Radio Rai Giorgio Zanchini, un libro dal titolo “La cultura orizzontale”, pubblicato da Laterza, ove parla di un nuovo che sta prendendo il posto del vecchio. Ma cosa è nello specifico questo Nuovo? E quali effetti sta effettivamente producendo sulla produzione, sulla trasmissione e sul concetto stesso di cultura?

RISPOSTA:

Questo periodo di didattica a distanza ha messo in evidenza tante difficoltà e riproposto i temi del digital divide e della dotazione informatica presente nelle case degli italiani: il 33,8% delle famiglie, rileva l’Istat, non ha computer o tablet in casa; solo per il 22,2% delle famiglie ogni componente ha a disposizione un pc o tablet e si sono presentati problemi rilevanti quando i genitori dovevano lavorare da casa e uno o due figli contemporaneamente dovevano seguire le lezioni. Nel Mezzogiorno la quota delle famiglie senza computer sale al 41,6%, un dato che potrebbe ancora di più scavare un solco nel grado di apprendimento scolastico tra le varie aree del Paese. In questi termini si pone un serio problema di diritto allo studio e, di fronte a una parziale chiusura degli istituti scolastici anche nel prossimo anno scolastico, per il quale si annuncia un regime misto, con una didattica metà a scuola e metà online, non si può non constatare come questa situazione rischi di creare ulteriori disparità. Spesso sono intervenuto su questi temi sul mio blog “La conoscenza rende liberi” (www.giovannisolimine.it).
Ma questi problemi sono arrivati nel bel mezzo di una trasformazione profonda avviata già da alcuni anni, di cui Zanchini ed io abbiamo discusso nel libro che lei ricordava. La produzione e la partecipazione culturale nell’era della rete sono caratterizzate da una comunicazione in linea orizzontale – da qui il titolo del libro – che tende a superare ogni forma di mediazione e a stabilire relazioni dirette. Di positivo, in questo, c’è un avvicinamento tra chi produce cultura e chi ne usufruisce, ma questa ‘orizzontalità’ può anche comportare il rischio di un appiattimento. Certo, siamo più liberi di costruire da soli il nostro palinsesto televisivo, la nostra playlist e, più in generale, di affrancarci da un’offerta preconfezionata. Se quantità, velocità e facilità sono i connotati peculiari del modo in cui si produce e si fruisce cultura in rete, si profila all’orizzonte il pericolo di un impoverimento delle pratiche culturali e di una perdita di complessità che non può che preoccupare. Riteniamo che la cultura debba attivare processi di ‘discernimento’, e ciò significa usare l’intelletto per distinguere, valutare criticamente, riflettere, comprendere, rielaborare attraverso un processo di progressivo confronto e arricchimento. Viceversa, se i comportamenti culturali diventano soltanto un consumo, a volte compulsivo, in cui non c’è spazio e non c’è tempo per accostarsi gradualmente e digerire in modo profondo e intimo l’essenza del contenuto che la rete ci offre, il timore di un impoverimento può essere fondato. È vero che il mondo online alimenta l’intelligenza fluida, agile, immediata, ma noi non possiamo fare a meno di quella cristallizzata, di una memoria a lungo termine che permette contestualizzazione e comprensione degli eventi.  Vecchio e nuovo possono convivere, così come la cultura orizzontale non può fare a meno della cultura verticale.

Redazione N>O>I – Network Organizzazione Innovazione – FM-Staff

 

 

 
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