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L’eternità delle emozioni

Da Madame Bovary a noi

Gustave Flaubert disse “Madame Bovary c’est moi!” (Madame Bovary sono io!) ma, di questi tempi, si potrebbe anche dire che tutti noi siamo Madame Bovary…
Quante volte ci è capitato di finire un libro e desiderare di conoscere l’autore ed essere un suo amico? (Perdonatemi, quest’ultima è un’idea che ci passa Salinger ne Il giovane Holden ma il concetto, in fin dei conti, vale sempre).                                                                                                                                                                  
Con Madame Bovary  succede più o meno la stessa cosa; magari più che essere amici di Flaubert preferiremmo essere amici di Emma e, così, mostrarle che anche noi siamo vittime della cattiva letteratura e delle verità distruttrici.     
                                                                                                                                                      
Ho riletto questo romanzo in una settimana, nei momenti “di stacco” che mi concede il treno andando e tornando dall’università. Quando giravo pagina e, per caso, mi capitava di alzare lo sguardo, vedevo le persone intorno a me che facevano tutte la stessa identica cosa; certo, alcuni guardavano il telefono, altri studiavano, altri guardavano fuori dal finestrino e altri ancora chiacchieravano tra di loro, ma la cosa che li accomunava era che tutti cercavano emozioni.                                                                                                                      
E a tal proposito ci viene in aiuto Flaubert che, parlandoci della sua eroina, ci dice: Essendo di temperamento più sentimentale che artistico, cercava emozioni e non paesaggi. Ma, a parer mio, non c’è cosa più triste in questo secolo del cercare emozioni!                                                                                                  
Perché comunque le emozioni possono essere trovate in ogni cosa, come si faceva ai tempi, quando bastava una citofonata da un amico o un pomeriggio passato a guardare i cartoni animati o, ancora, una lettera dal fidanzato e una casa modesta che riunisse tutta la famiglia. Quando bastava la serenità, insomma…                                                                                                                                                                                    
Ma cos’è, dunque, che ci rende insoddisfatti? La noia, forse? La necessità di cambiamenti? La nostra indole che verte sulla tragicità e sul fatalismo?                                                                                                                                  
Per quanto riguarda Emma, la sua situazione era analoga alla nostra: Abituata agli aspetti sereni della vita, ricercava quelli tormentati. Amava il mare solo se in tempesta e il verde solo se disseminato tra le rovine. Ora, cari lettori (spero siate tanti, ma in cuor mio so che siete pochi), non vi sembra che questa frase rispecchi anche voi?                                                                                                                                                                                                 

A me piacerebbe tanto che tutti noi mettessimo a disposizione di tutti i nostri libri e ci mostrassimo a vicenda le frasi che sottolineiamo, sicuramente almeno il 70% delle frasi sottolineate corrispondono per tutti. Viviamo in un’epoca in cui viaggiamo in continuazione senza arrivare mai a destinazione e giustifichiamo questo fatto con la trita e ritrita frase La vera meta sta nel viaggio; ma la vera meta, in realtà, dovrebbe essere dentro noi, dovrebbe essere la nostra pace interiore e l’appagamento di ogni nostro desiderio che camuffiamo con futili tormenti.                                                                                                             
Leggiamo nei libri parole come felicità, passione ed ebrezza ma nella realtà di tutti i giorni non sapremmo trovare loro una descrizione che possa essere trasmessa con fatti veri e propri; si potrebbe, al massimo, scorgere un mutamento di scenario dovuto a un piccolo imprevisto che porta con sé qualche breve peripezia. Con i nostri libri e il nostro bovarismo, ondeggiamo di sogno in sogno aspettando timidamente che qualche eco del mondo giunga fino a noi risvegliandoci dalla realtà. E così fa Emma nel suo romanzo, nel romanzo che non potrebbe descrivere meglio la sua somiglianza con tutti noi.                                                                                                                                                                                       
Emma viaggia poco e, di conseguenza, visita pochi luoghi (Tostes, Yonville, Rouen).                                                 

Noi (come detto prima) ci spostiamo, chi in macchina, chi con i mezzi, chi a piedi e chi col treno (so che il treno è un mezzo, ma a volte può rappresentare un piccolo viaggio in sé tra i giorni e la routine di tutti i suoi passeggeri). E il treno, forse, è il luogo perfetto dove leggere questo libro. Si attraversano paeselli, città, regioni, addirittura Stati, e ogni volta incappiamo in una contrada bastarda e, se capitiamo per il paesaggio sbagliato, possiamo ritrovarci in un noioso e anonimo lembo di terra dovela parlata è senza accento, come il paesaggio è senza carattere.                                                                                                                                     
Madame Bovary passa gran parte della sua vita a Yonville, un borgo pigro e addormentato dove i suoi abitanti sono gelosi come un artista ed egoisti come un borghese. Ma nella modestia di questa noia paesana, Emma trova qualche spiraglio di svago in Leòn e poi in Rodolphe.                                                             
Con il primo, condivide discorsi seri comunicati solo con gli sguardi che sovrastano le voci intorno a loro e che guardano insieme le stesse immagini dei libri aspettandosi a fine pagina. Lui, più giovane dell’amata, è prigioniero del silenzio di lei, come lo sarebbe stato delle sue parole. Lui, che la lascerà per andare a Rouen, rincontrerà Emma quando, una volta affermatosi come notaio, porterà dentro di sé ancora le rovine di un poeta. Lei resterà a Yonville, affacciata ai romanzi, ai suoi ricami e alle finestre che, in provincia, sostituiscono i teatri e la passeggiata. Ma l’amore per Leòn verrà rimandato alla terza e ultima parte del romanzo; intanto, arriva Rodolphe…                                                                                                                                       

Lui lusinga Emma dicendole che è come se si fossero già conosciuti nei sogni, dicendole che porterà con sè il ricordo di lei che, invece, lo dimenticherà facendolo passare come un’ombra. Ma lei cede: ai Comizi agricoli, i due si guardavano. Un desiderio supremo faceva fremere le loro labbra secche; e mollemente, senza sforzo, le loro dita si confusero. Ma anche lui la lascerà come già in precedenza aveva lasciato innumerevoli altre amanti poiché i piaceri, come allievi nel cortile di un collegio, avevano talmente calpestato il suo cuore che non vi spuntava più un filo d’erba, e chi passava di là, più stordito dei bambini, non vi lasciava nemmeno, come loro, il proprio nome inciso sul muro; Emma era solo una delle tante.                                                                                                                                                                                            

Lei, realizzato che la storia con Rodolphe è finita, penserà al suicidio, poi troverà la Fede cercando (in realtà e invano) delle dimostrazioni alle verità che da sempre cercava.                                                                                    

Ma poi torna Leòn, e i due si creano un ideale sul quale modellano il loro passato parlandosi con quelle parole che sono come un laminatoio che affina i sentimenti. Lei lo ama, e si rispecchia nell’innamorata di ogni romanzo, nella vaga “lei” di ogni poesia. Lui si innamora ancora, ma presto sarà infastidito dai pianti di lei e anche dalla sua presenza costante e, a volte, opprimente. Lei farà lo stesso e, quando si lasceranno definitivamente, lui le stringerà la mano ma la sentirà completamente inerte poiché Emma, dilaniata dai debiti e dalla realtà che risiede sempre dietro l’angolo, non aveva più la forza di alcun sentimento.                                                                                                                                                                                  
Debiti, la realtà del romanzo presenta anche quella dei debiti, e tra tutte le persone a cui Emma chiederà aiuto, ci sarà anche Rodolphe che glielo negherà con la calma perfetta con cui si proteggono, come uno scudo, le collere rassegnate.                                                                                                                                                                            

E i debiti, faranno parte dei motivi che spingeranno l’eroina ad avvelenarsi e a lasciare al mondo la figlia Berthe e il marito Charles.                                                                                                                                               

Charles… Charles è colui che la amerà fino alla fine nonostante non sarà mai in grado di dimostrarglielo; è suo marito ma lei lo chiamerà, poco prima di morire, amico; ed è colui che, una volta scoperti i tradimenti, si lascerà morire avendo sentito anche il legno della bara della moglie che, colpito dai sassolini, fa quel rumore  che sembra il rimbombo dell’eternità.                                                                                                                 

Ed è con questo rimbombo che Emma esce definitivamente di scena, lasciando in tutti noi una parte del suo personaggio da reinterpretare a seconda della vita che conduciamo, tramandandoci il potere che ha ogni viaggiatore che lascia un po’ della sua ricchezza in ogni albergo che incontra sul suo cammino.
 
FEDERICA PERDONCIN

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