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Demolire San Siro e costruire a San Donato Milanese: un danno identitario, una frattura civica
Sommario

"Demolire San Siro è cancellare un secolo di memoria: Milano merita di più"
La prospettiva di demolire lo Stadio Giuseppe Meazza, il leggendario San Siro, non può essere letta come una semplice operazione urbanistica o un passo verso la modernità. È, al contrario, l’emblema di una rinuncia culturale, un gesto che rischia di strappare un pezzo vivo di Milano dalla sua carne storica e sociale. San Siro non è solo cemento e gradinate: è memoria incarnata, luogo simbolico, contenitore emotivo di un secolo di passioni calcistiche, concerti epocali, momenti di condivisione collettiva.
Abbatterlo significa annientare un archivio vivente di esperienze, sottrarre al futuro un bene comune irripetibile. Perdere San Siro è come demolire un teatro della storia, non per obsolescenza, ma per logiche di profitto e branding. È una mutilazione del paesaggio urbano e affettivo.
Frattura nella geografia simbolica
Tra gli svantaggi più gravi della demolizione c’è la rottura della connessione tra squadra, città e tifoseria. San Siro è profondamente radicato nel tessuto urbano di Milano, facilmente raggiungibile, visibile, condiviso. Il suo valore non è solo funzionale, ma simbolico: è una cattedrale laica attorno a cui ruota una parte dell’identità cittadina. Trasferire il Milan in un’area periferica come San Donato Milanese significa spezzare questo legame, sradicare la squadra dalla sua geografia sentimentale e ridurre la città a spettatrice esterna.
San Donato Milanese: uno stadio senza città
Il nuovo stadio a San Donato Milanese non rappresenta un ampliamento, ma un dislocamento. È un progetto che, invece di includere, esclude. San Donato Milanese è un comune dell’hinterland privo del carico simbolico che San Siro ha sedimentato nel tempo. Lì non c’è storia calcistica, non ci sono ricordi collettivi, non esiste un vissuto comunitario legato allo sport. La scelta appare come una strategia di delocalizzazione commerciale, più vicina alla logica di un centro commerciale che a quella di un santuario sportivo.
Impatto ambientale e divario territoriale

La costruzione di un nuovo impianto in un’area già congestionata come quella di San Donato Milanese apre scenari critici anche sul piano ambientale e infrastrutturale. Il traffico aumenterebbe esponenzialmente, le linee di trasporto pubblico verrebbero sovraccaricate, e il territorio locale subirebbe una trasformazione forzata, poco coerente con la sua vocazione urbanistica attuale. Inoltre, si accentuerebbe il divario tra centro e periferia, alimentando una “gentrificazione sportiva” dove l’esperienza del tifoso verrebbe sostituita da quella del cliente: tribune VIP, aree commerciali, hospitality, lontano dall’anima popolare del calcio.
La scelta più sostenibile: riqualificare, non distruggere
Infine, si pone una questione di sostenibilità, economica e culturale. Demolire per ricostruire ex novo è una visione miope. San Siro può e deve essere riqualificato, adattato ai nuovi standard, reso funzionale alle esigenze moderne senza perdere la sua anima. Ciò che serve è un progetto di rigenerazione intelligente, non un’operazione di sostituzione identitaria. Un investimento nella memoria, non nella cancellazione.
"Non tutto è sostituibile” - Il futuro ha bisogno delle sue radici"
La demolizione di San Siro e la costruzione di un nuovo stadio a San Donato Milanese rappresentano una scelta che va contro la logica del bene comune, del radicamento territoriale e della coesione civica. È una decisione che rischia di allontanare il calcio dalla sua dimensione popolare e comunitaria per trasformarlo in un prodotto da consumo elitario. Milano non ha bisogno di un nuovo stadio fuori città. Ha bisogno di riconoscere, proteggere e valorizzare ciò che già possiede: un simbolo vivente, irripetibile, che si chiama San Siro.
Flavio Mantovani – RedAzione N>O>I

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