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Ciao Benedetto

Benedetto Ruzziconi 105 Anni - 25 Dicembre 2022

Nel mese di dicembre che si è appena concluso abbiamo utilizzato qualche volta in più del solito il nome “Benedetto” associando purtroppo quel bellissimo nome pieno di speranza alla morte. Il 31 dicembre è Morto Benedetto sedicesimo il papa che rinunciò al pontificato senza pressioni o costrizioni e che visse amando il proprio successore.

Il giorno di Natale, all’età di 105 anni, è morto Benedetto Ruzziconi un uomo buono e semplice che non conobbe mai suo padre che si chiamava Custode e che partì per la guerra del 15/18 lasciando a casa la moglie incinta di lui e tre figli nati negli anni precedenti, Custode morì durante il conflitto. In occasione del battesimo sua madre voleva  attribuirgli il nome del marito defunto, e su consiglio del Parroco fu chiamato Benedetto Angelo e Custode ma all’anagrafe risulta soltanto Benedetto.  La vita per Benedetto non fu facile, la famiglia era poverissima nella prima adolescenza faceva il guardiano di greggi in cambio del pasto giornaliero poi a 17 anni trovò lavoro nella più grande miniera di zolfo d’Europa situata nell’entroterra marchigiano e con grande gioia iniziò a ricevere dalla Montecatini lo stipendio tutti i mesi e a consegnarlo a sua madre. Con un lavoro stabile pensava di metter su famiglia, si scambiava qualche sguardo compiaciuto con una bella ragazza del paese che lo ricambiava sorridendogli fino al giorno in cui partì per il servizio militare. Al momento del congedo scoppiò la seconda guerra mondiale, Benedetto fu mandato in Grecia dove incontrò un paesano che divenne suo amico inseparabile. Quando era di guardia e vedeva qualche affamato avvicinarsi troppo ai magazzini del campo gli faceva segno di andarsene senza sparare mai a nessuno. Dopo l’otto settembre 1943 ci fu discordia fra italiani e tedeschi che essendo alleati degli italiani non accettarono l’armistizio sottoscritto dagli italiani; c furono scontri e un soldato tedesco perse la vita. Per rappresaglia i tedeschi fecero schierare gli italiani sul piazzale e ogni dieci soldati schierati ne uccisero uno; nella conta Benedetto fu il nono ed il suo amico l’ottavo ed ebbero salva la vita. I superstiti furono costretti a lavorare sottomessi ai tedeschi. Quando i tedeschi si arresero, gli inglesi imprigionarono i soldati italiani perché li considerarono loro collaboratori. Nella primavera del 1946 ci fu una grossa evasione dal campo della fame di Taranto ma la maggior parte degli evasi furono ripresi. Benedetto e il suo amico, che ebbero la brillante idea di non andare subito alla stazione, aspettando la sera prima di recarcisi, riuscirono a scappare; un bravo capostazione che li vide aggirarsi nei dintorni dopo aver dato loro da mangiare e da bere gli consigliò di non salire sul treno, viaggiarono aggrappati alle balestre da Taranto ad Ancona  e tornarono a casa. Pochi giorni dopo il suo amico morì pochi giorni dopo per la fame e gli stenti patiti Benedetto invece fu invitato al matrimonio della bella ragazza che gli sorrideva che credendolo morto sposò un altro giovane. Il 13 maggio del 1946 tornò in miniera, il dottore cercò di dissuaderlo, Benedetto era debilitato per la fame sofferta, pesava meno di 50 Kili ma lui insistette dicendo che doveva ripagare i debiti contratti da sua madre durante la sua assenza. Il direttore lo accolse e lui lavorò come gli altri. Nel 1949 si sposò poi lavorando alacremente e risparmiando tantissimo acquistò insieme al fratello un terreno e ci costruirono una casa in cui vivere insieme al fratello la madre e il figlio che gli era nato nel 1950. Poco tempo dopo dovette lasciare quella casa perché la miniera chiuse i battenti e nel 1954 fu trasferito in Trentino; nel 1959 divenne padre anche di una figlia che rischiò di rimanere subito orfana quando Benedetto rimase sepolto vivo per il crollo di una galleria ma due operai coraggiosi prima di fuggire scavarono ed estrassero il corpo ancora vivo. Nel 1963 anche la miniera trentina chiuse i battenti, la nuova destinazione stabilita dalla Montecatini per lui ed altri minatori fu Milano: la maggior parte di loro furono destinati allo stabilimento che c’era fra Morsenchio e Santa Giulia vicino alla tangenziale e si stabilirono a Peschiera Borromeo, lui ed atri due operai andarono all’ACNA di Cesano Maderno dove Benedetto fu destinato al reparto benzidina . Venne presto a sapere che ogni sei mesi moriva un operaio, negli anni ne morirono circa 150 per tumore alla vescica provocato dalle materie chimiche lavorate.  Spaventato da quello che accadeva e desideroso di tornare a casa sua diede le dimissioni e tornò nelle Marche lasciando i due colleghi che si stabilirono a Limbiate. Uno di loro l’anno successivo morì travolto da un camion mentre tornava a casa dal lavoro in bicicletta. Nelle Marche lavorò come bracciante in attesa di un’occupazione stabile che però non arrivava. I colleghi lo aiutarono, nel 1965 si trasferì a Peschiera dove lavorò prima in un’impresa che smaltiva i rifiuti industriali per alcuni stabilimenti fra cui la Montecatini poi si trasferì alla OCM recandosi a Mombretto, in bicicletta senza essere travolto da nessuno e lavorandoci fino alla pensione. Per tutta la vita fu un cattolico praticante sorretto da quell’angelo custode che pur non essendo visibile gli fu sempre vicino. Pacifico e altruista dedicò la sua vita alle persone che amava, in primo luogo i familiari ma anche vicini e conoscenti fra i quali è impossibile trovare una sola persona  che abbia ricevuto un torto da lui. Chiunque lo abbia conosciuto non poté fare altro  che rispettarlo e stimarlo. Sei mesi prima di morire cominciò ad avere difficoltà motorie, riusciva a camminare ma mai da solo e qualche volta gli capitò di cadere pertanto si trasferì alla Residenza Borromea di Mombretto poco distante dalla OCM e ricevendo quasi tutti i giorni visita di familiari amici e conoscenti. Dieci giorni prima di morire festeggiò il compleanno in letizia poi si spense come una candelina. Ci piace immaginare che sia rinato in paradiso e che abbia festeggiato il primo Natale insieme al padre che non aveva mai conosciuto e ai suoi parenti che lo hanno preceduto.

Testimonianza del genero Moremo Mancini

inviato da Carla Paola Arcaini  per RecSando

 

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