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Beniamino Delvecchio illustratore di Diabolik

INTERVISTE

Beniamino Delvecchio intervistato da Giovanni Luilli, Olaf Luilli e da Jean Claude Mariani

Chi è Beniamino Delvecchio?
Io quando avevo la vostra età avevo già il sogno di diventare disegnatore. Era la mia vita, non avevo un'alternativa. Mentre altri miei amici non avevano le idee chiare, io sapevo già che quella era la mia strada. La vedevo molto difficile come scalare una montagna ed ero consapevole delle difficoltà da superare come si affronta uno sport sapendo che i risultati sarebbero stati ottenuti da un continuo allenamento. Anche per correggere i difetti della mano, guardando gli altri disegnatori, il fumetto è una disciplina pulita, non fai male a nessuno, non hai neppure un corpo a corpo e quindi, per me, era congeniale perché sono una persona delicata e ipersensibile (ma credo che sia un po' una caratteristica di tutti i disegnatori e un po' degli artisti in generale). Per esprimere te stesso, ti esprimi attraverso la tua arte poi dopo, nel tempo, viene fuori tutta la tua persona. Però la cosa bella è che hai come un filtro che ti protegge.

Le idee ben chiare
Fin da ragazzino vedevo molte più possibilità di realizzare la mia passione nel fumetto perché avrei potuto più facilmente inserirmi nel settore commerciale. Quindi fin dal liceo artistico cercai di impadronirmi delle tecniche che mi permettessero di disegnare indipendentemente dall'ispirazione del momento. Volevo che il disegno diventasse il lavoro con cui mantenere me stesso e la famiglia che volevo crearmi.  Quando ho voluto approfondire le mie competenze artistiche, le trovai nell'Accademia delle Belle Arti per avere una preparazione ulteriore. Io volevo fare un fumetto che non fosse solo commerciale, in bianco e nero, è stato in seguito a ciò, che realizzai a colori il mio personaggio: Tokae.

L'inizio della carriera
Mentre frequentavo l'Accademia di Belle Arti di Brera, presentavo i miei lavori alle case editrici (parliamo del 1983) c'erano tante piccole case editrici. Io facevo delle prove sui personaggi perché gli editori volevano vedere se sapevo disegnare il loro personaggio. Questo vale per tutti i lavori, presentare esempi che interessino il committente. Il primo di dicembre del 1994 fu un momento meraviglioso perché segnava l'inizio della mia carriera con Bad moon per "Xenia Edizioni" ed era anche il mio compleanno.

L'apprendimento delle nuove tecniche
Ho fatto una prova impegnativa, seguendo la sceneggiatura (fornita dalla XENIA Edizioni), ed è andata bene. Quando però entri nel lavoro vero, devi correre, essere molto veloce e molto abile e cosi la Xenia mi affidò il disegno a matita affiancandomi un altro disegnatore per il ripasso a china. Alla fine si ottenne un risultato molto vicino a quello che volevo io. Il primo numero di Bad Moon per il quale ho realizzato le matite era andato molto bene e il secondo numero potei disegnarlo interamente io ed è stata una bella soddisfazione. Da notare che per fare un albo ci vogliono quattro o cinque mesi.

Le tecniche diventano sempre più complesse
Man mano che passava il tempo, la richiesta della qualità aumentava. I disegni di adesso sono dei piccoli quadri, non sono pii, fumetti con un tratto sintetico e veloce come un fumetto che io ho amato moltissimo Ken Parker, che è stato un vero cult negli anni 80 e 90. Oggi si farebbe fatica a imporre un prodotto cosi, i ragazzi con videogiochi e altre tecnologie si abituano a immagini molto elaborate. Mi sono quindi presentato alla Casa editrice Bonelli, la più importante d'Italia, e ho disegnato due storie di 'Zona X' che era un po' una rivista contenitore (diversa da testate come Tex, Dylan Dog, ecc.). Poi  realizzai "Lazarus Ledd" per "Star Comics".

Iniziano gli anni di Diabolik
Gli anni di Diabolik sono stati magici, in una redazione che io ho sempre sognato, sempre vista dall'esterno, mi sono trovato assieme a questi disegnatori che io ammiravo, c'erano alcuni dei disegnatori più bravi e importanti d'Italia: parliamo di Franco Paludetti, Sergio Zanigoni, Enzo Facciolo, dei grandissimi disegnatori… Al pari di Galep di Tex! Per me fu una grande esperienza, anche perché io ho potuto lavorare, oltre che sui disegni, sulla parte di costruzione del prodotto fumetto: seguivo e leggevo la sceneggiatura, la confrontavo con il disegno. Uno dei compiti più importanti che mi fu affidato era quello di guardare le cianografiche, delle prove di stampa preparate in litografia: avevo il dovere di visionarle. Quando io davo l'ok per la cianografica, venivano stampate migliaia di copie e, se ci fosse stato un errore, sarebbero stati "cavoli amari" : una grande responsabilità.

Quando riceve una sceneggiatura e deve realizzare (per esempio) la macchina di Diabolik, ha un‘indicazione precisa o il disegnatore può crearla a proprio piacere?
Domanda molto pertinente! Allora, di solito tu hai una sceneggiatura scritta, dove è specificato, molto bene, come lo sceneggiatore intende: se la vuole vedere intera, tagliata, oppure ravvicinata sull'autista. Ti è descritto tutto quanto come vuole lo sceneggiatore, quindi diciamo che il disegnatore è piuttosto vincolato. Dipende anche da chi ti trovi: puoi incontrarne uno che s'immagina le cose in un modo diverso, ma accetta la tua interpretazione, o quello che ti dice che la voleva spostata di 5 gradi a sinistra, il pignolo. Perciò dipende, si capisce che più lo sceneggiatore è costrittivo, meno si è liberi nella propria creatività. Diversamente gli Americani, danno solo una traccia e poi il disegnatore può vedersela da solo, quindi secondo me è il massimo, ci si può sbizzarrire, anche se ci si deve mettere un po' più del proprio.

 
LAZARIUS LEDD – Testi di Ade Capone – Disegni di Beniamino Delvecchio

Com'è riuscito ad affinare la sua tecnica in Lazarus Ledd?
Ade Capone mi aiutò a capire i miei errori di prospettiva e anatomia, poi, quando ho lavorato con lui, mi sono messo di buona volontà a usare molto le foto e i fotoromanzi. Mi sono "resettato" durante quel periodo. Ho capito di essere arrivato fino ad un certo punto ma, cosi non andava bene, dovevo migliorare. Come potevo fare? Cambiando il metodo di lavoro; iniziai a guardare le foto, ma allora non era come adesso che c'è internet, si utilizzavano i fotoromanzi. Questo espediente mi ha aiutato molto perché così avevo la costruzione anatomica precisa. Adesso io uso la macchina fotografica digitale fotografando me stesso in posizioni difficili. É una facilitazione, ma il lavoro c'è lo stesso; però questi strumenti ti permettono di essere più veloce e migliorarti.

Il momento dell'innamoramento con i nativi americani    
Vi dicevo prima che ho da sempre avuto questa grandissima passione per Ken Parker. Questo personaggio mi ha veramente affascinato, già dalle copertine viste in edicola, sono rimasto folgorato. Andavo ancora al liceo Artistico, ho comprato tutta la serie, mi piacevano molto i suoi disegni, molto immediati e molto dinamici. Storie realistiche e per certi versi anche romantiche del genere western ma, non alla Tex per quanto bellissimo, ma racconti più veri: di avvenimenti anche di quotidianità della vita del west, creando dei parallelismi con le nostre esperienze di vita. Esperienze che potevano vivere alcuni personaggi di quel periodo. Per me Ken è stato come un amico e mi ha insegnato tante cose che mi sono servite anche nella vita, come un romanzo di formazione. Ho vissuto anche questo suo rapporto con i nativi americani in maniera molto intensa, specialmente nelle storie di Ken Parker a colori, dipinte ad acquerello che è la tecnica che io adoro di più.

KEN PARKER di Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo
 

Com'è nato il suo personaggio TOKAE?
Avendo alle spalle tanti anni da disegnatore professionista e l'esperienza alla Casa Editrice "Astorina" di Diabolik come curatore di tutto il prodotto "fumetto" mi sentivo pronto per esprimermi come autore completo.
Tokae è nato attraverso la mia passione per Ken Parker e per lo stile pittorico ad acquerello che è molto immediato. Infatti, se si prende una copia di Tokae, penso che il mio stile assomigli a quello del fumetto ispiratore. Ecco, io ho cercato, nel mio piccolo, di fare disegni più pieni di dettagli, più colorati. In più si capisce che ero dalla parte degli indiani e non delle cosiddette "giubbe rosse".

Il numero 1 è datato Marzo 2005: l'esperienza si è fermata?
Il primo volumetto di 16 pagine è datato 2005; poi ho realizzato altri 3 volumetti di 16 pagine l'uno. I 4 volumetti messi insieme compongono poi la storia intera. di 64 pagine. Tokae andò quindi avanti dal 2005 al 2008 per completare il volume. Per me fu più facile portarlo avanti nel tempo per poi rilegarlo con la copertina cartonata, un sogno che ho realizzato: arrivare a fare un lavoro del genere tutto mio. Piace, non piace, va bene, non va bene, ma l'ho fatto come lo volevo io.
Per completare il discorso di Tokae, io mi sono impegnato perché per fare solo uno dei fascicoli ci vogliono mesi, me lo sono stampato a mie spese, e poi lo vendevo nelle mostre per recuperare almeno i soldi della spesa della stampa con una tiratura di poche copie…

Nel ambiente fumettistico attuale c'è molta violenza, i crimini sono efferati
Quando ero giovane non ci facevo caso. Ad esempio Dylan Dog, sin dai primi numeri, aveva scene un po' troppo forti in realtà ma, allora, non ci facevo a caso, pensavo che fosse un fumetto, lo leggevo con distacco, non mi dava fastidio. Oggi che sono più adulto e maturo e ho dei figli, mi fa più impressione.
Sarebbe meglio fare fumetti, magari con argomenti importanti e anche profondi ma senza rappresentarli con scene violente.

Andiamo avanti con la sua carriera
Nel 2005 mi sono spostato all'estero in Ucraina, da mia moglie e là ho vissuto per due anni.
Questa per me è stata un'esperienza molto interessante per maturare. Suggerisco a voi ragazzi di fare esperienze simili all'estero. Nello stesso tempo che proseguivano i disegni del mio TOKAE, iniziai a collaborare con l'editore Salvatore Taormina per disegnare THAN DAI, un nuovo fumetto sempre di genere western pubblicato in Italia. Per Than Dai ho avuto la possibilità di realizzare le copertine della prima serie e i primi due episodi oltre a diversi altri a colori. Soggiornando in Ucraina dal 2005 al 2007 e, trovandomi in una realtà economica e sociale difficile, ho comunque potuto continuare a collaborare con l'Italia mantenendo viva la mia presenza sul mercato fumettistico nostrano.

Il ritorno in Italia
Tornando in Italia le esigenze economiche erano più gravose e bisognava produrre, non mi bastavano più queste collaborazioni. Sono però riuscito a entrare alla Casa Editrice Star Comics per la quale ho realizzato tantissimi fumetti di diverso genere. Ho fatto disegni per Cornelio, Pinkerton, Knox, The Secret, Dr Morgue. Ho capito, nel tempo, che se vuoi fare questo mestiere devi essere molto eclettico.

Cosa ci dice di Medhelan, questa "graphic novel" di recente pubblicazione?
Medhelan parla della storia di Milano, dalle origini celtiche al periodo medioevale, dalla seconda guerra mondiale ai tempi nostri. A questo progetto ho iniziato a lavorare dal 2013 preparando i primi studi e ho iniziato a disegnare le tavole definitive nel Maggio 2014 lavorando per un anno sino a comporre il totale di 208 pagine. Medhelan è nato da un'idea di Silvio Da Rù che ha scritto anche tutta la sceneggiatura e ha indetto un concorso per scegliere l'autore della copertina. Sono arrivate opere molto belle che talvolta riportavano immagini molto drammatiche e truci. E' vero che la storia ha rappresentato anche questo, ma abbiamo optato di scegliere un'opera che racchiudesse i vari elementi contenuti tra il passato e il presente di Milano in una forma più leggera e di speranza. Presentata l'opera, dal Parco Nord di Milano (che ne è il promotore), è stata adottata per l'EXPO perché riguardava oltre al cibo anche il rapporto fra l'uomo, il futuro e la natura.

  

Com'è nata quest'opera?
Vi racconto com'è nato l'incontro con Silvio Da Rù  e com'è nata l'opera.  Io mi trovavo a Novegro (Milano) come espositore dei miei lavori e lui cercava un autore che fosse adatto per presentare la rinascita del Parco Nord. Visitando i vari stand è stato ben impressionato dai miei disegni e da lì è nato il progetto. Via, via negli anni, abbiamo costruito i personaggi e gli ambienti.


Come distinguere lo stile dei disegnatori?
Ogni disegnatore ha uno stile diverso che si nota dal modo di rappresentare le anatomie, le inquadrature, il nero, ecc. Inoltre vi sono diversi tipi di fumetto secondo il Paese di origine. Ad esempio, nei Manga giapponesi, sono usate molto le linee cinetiche, vengono variate le inquadrature e, la pagina, è composta come un puzzle mentre noi tendenzialmente la teniamo sempre quadrata e composta.

Come è la vita di un disegnatore di fumetti?
Come dicevo, anni fa con c'erano i computer, non c'era la possibilità di trovare le immagini così facilmente Quando le cercavo dovevo andare in biblioteca oppure nelle agenzie che vendevano immagini a pagamento da cataloghi fotografici dove trovavo, mani, paesaggi, natura e immagini di tutti i tipi come modelli da rappresentare. Comunque era molto difficile lavorare allora. Mi ricordo che per rappresentare lo Jellow Park della California ho dovuto cercarlo sul catalogo di un'agenzia viaggi. Ora, con internet è meraviglioso: trovi tutto. Uno pensa che il lavoro del disegnatore sia facile, che si lavori poco, ma non è esattamente così.

E' contento di questa sua scelta?
E' un lavoro bellissimo, non lo cambierei per nessun'altra cosa al mondo però, nel tempo, ho capito che non era così facile come m'immaginavo perché si doveva  accontentare il committente e non solo te stesso. Devi assecondare le richieste: questo lo voglio più chiaro, questo lo voglio più scuro, ecc. Quando ti trovi davanti a una sceneggiatura che tu non vivi, te la devi far piacere e dare il massimo di te stesso per rappresentarla al meglio. Mi ricordo ancora la frase che mi disse Ivo Milazzo anni fa quando lo intervistai:  "Questo lavoro è bello ma è anche faticoso perché devi sempre rinnovarti, cercare di non ripeterti”.  In effetti, è così, le sceneggiature corrono il rischio di essere ripetitive, primo piano di quello, piano americano (che vuoi dire dalle ginocchia in su), vien da dire questa scena l'ho già fatta: rimetto quella? No, il nostro lettore è intelligente e se ne accorge subito.

Nuove dirigenze hanno voluto cambiare o escludere personaggi delle storie originali di fumetti come Dylan Dog o anche Diabolik perché i giovani non li leggono come prima, cosa ne pensa?
In effetti, i fumetti cercano di adattarsi ai tempi attuali. Parto subito da Diabolik che sta cercando di rinnovarsi. Sapete com'è nato? Le sorelle Giussani hanno notato i pendolari che viaggiavano in treno da Milano verso Como e hanno pensato "facciamo un pocket da dare ai pendolari sul treno" ed è andata bene, ha sfondato. Recentemente è stato lanciato DK (Diabolik) in formato magazine, a colori come quello dei supereroi, cercando in parallelo di creare serie più accattivanti  per attirare una nuova generazione di lettori.

Qual è il personaggio nella sua carriera che lo rappresenta di più?
Tra i tanti personaggi che ho disegnato per gli editori quello in cui mi sono meglio identificato, è Lazarus Ledd, Io sentivo molto, anche per i tratti fisici; però, il mio sogno sarebbe stato di disegnare Ken Parker nel senso che mi piace sotto tutti i punti di vista, sia grafico sia narrativo.

Con quale s'identifica come persona?
Sicuramente il mio Tokae mi rappresenta al meglio, perché è chiaro che Tokae sono io anche nei tratti fisici e mi è facile identificarmi. Qualcuno mi ha anche detto che è un autoritratto. In genere un autore quando scrive o disegna si rappresenta, e penso che questo valga anche per il mio TOKAE.

La rivelazione: TOKAE sono io!
TOKAE

Testi e disegni di Beniamino Delvecchio

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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