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Avete mai pensato di andare nei luoghi descritti in un libro e rivivere le storie e le emozioni, raccontate dall’autore?

Una lezione di vita, attraverso la storia di Ugo Samaja e la sua esperienza umana in questa valle dimenticata dagli uomini ma non da Dio, come scrive Ugo nelle sue memorie 'Autopsia di una vita. Un medico ebreo triestino nell'Italia fascista'. '… lì abbiamo imparato a guardare, a capire, a voler bene in un modo completamente diverso, a lavorare, a giudicare con generosità, a dare quanto c'è da dare, a dire grazie col cuore e non solo con le parole…'.

A Ferragosto in alta Valseriana, si sale tanto più in alto per sfuggire alle persecuzioni fasciste fino a Valcanale, un posto fuori dal mondo dove anche i cacciatori si avventuravano malvolentieri perché impervio, anche se si trovavano formaggi e salumi e… tanta solidarietà umana, quella che in due anni di permanenza, dal 1943 al ’45, ha consentito a Ugo Samaja e a Lucilla di scendere a valle cambiati.

Anche don Antonio Magri, il parroco di allora, glielo chiedeva: ‘In che senso siete cambiati?’.

Ugo non sapeva definire i contorni di questo cambiamento, i rivolgimenti che aveva provocato nel suo animo il ‘soggiorno’ forzato di due anni in questo posto fuori dal consesso degli uomini, ma era certo che lo aveva posto a stretto contatto con l’umanità della povera gente di montagna che aveva diviso tutto con loro: la minestra, la polenta, l’arrosto di coniglio… e la grappa di genziana.

Il parroco gliela faceva recapitare da Rocco o dalla figlia Palma nelle grotte alla Ral de la Cruz, su in alto nei boschi dove si rifugiavano per sfuggire ai feroci rastrellamenti delle squadracce nazi-fasciste alla ricerca di zingari, ebrei e comunisti da rinchiudere nei campi di sterminio. Stiamo seguendo da qualche tempo le orme di Ugo Samaja, da quando fu allontanato dall’Ospedale di Trieste nel 1938 in seguito alle leggi razziali fino a Melegnano, dove per qualche mese fu assunto nell’ospedale locale, a Milano e infine in questa valle.

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La cosa sconcertante è che più volte nel libro Ugo dichiara di essere stato fortunato e anzi felice, in una situazione di oppressione e di guerra, ad aver incontrato Lucilla e gli abitanti di questa stretta Valcanale. Per due anni hanno fatto di tutto: i boscaioli, i carbonari, e soprattutto hanno imparato a mimetizzarsi e scappare alla bisogna su per l’erto pendio dei boschi. Michele il figlio con la moglie Ilaria, io e mia moglie Ornella siamo venuti quassù a presentare il libro che aveva scritto Ugo subito dopo la morte di Lucilla, nel 1987, poi pubblicato con il titolo ‘Ugo Samaja. Autopsia di una vita’. Come era stato possibile che in quelle circostanze avessero trovato lo spazio per inclinare il proprio stato d’animo dolente al riconoscimento dello spirito umanitario di questi montanari? Ora lo sappiamo, perché in due giorni l’abbiamo appreso anche noi. Come dice don Fabio, il parroco attuale: ‘Gli abitanti di queste contrade hanno il cuore di leone, ma in fondo sono teneri’. Ci hanno ospitato, ci hanno nutrito, abbiamo festeggiato con loro le feste di Maria Assunta il 15 agosto a Valcanale e di S. Rocco a Zanetti, la processione nelle minuscole e serpeggianti vie del paesino, la messa all’incanto del formaggio locale e del salame, un gioco per finanziare la parrocchia per le tante incombenze a cui è chiamata. Ognuno un ricordo, un particolare, soprattutto la consapevolezza che quella di Ugo è stata una presenza speciale. La sera nell’oratorio di Valcanale l’esordio della presentazione con lettura del dialogo fra i due personaggi principali del paesino: il parroco don Antonio Magri e Ugo Samaja, il ricordo del figlio Michele che auspica ‘la necessità di far conoscere queste storie soprattutto alle giovani generazioni’, l’intervento di coloro che lo hanno conosciuto o lo hanno sentito raccontare nei mille episodi, negli interventi da medico fugaci, senza anestesia, senza cognizioni dirette a volte, ma sempre con lo stato d’animo di ricambiare in minima parte il grande abbraccio di ospitalità che ricevevano. Tutta Valcanale era riunita nell’Oratorio e ascoltava in religioso silenzio le considerazioni di Ugo, le descrizioni delle salite improvvise nei boschi, la stima e l’amore per questa terra, che Ugo ha eletto come propria. Da questa sera lo facciamo anche noi, ignari abitanti delle pianure che non conoscono il grande filo di umanità che lega gli uomini e permette di affrontare insieme le traversie della vita, sull’esempio di Ugo che ormai è cittadino ad honorem di questo lembo di terra orobica.
Valcanale, 16/8/2014
PAOLO RAUSA

Avete mai pensato di andare nei luoghi descritti in un libro e rivivere le storie e le emozioni, raccontate dall'autore? Vi assicuro che è un'esperienza bellissima che tutti dovrebbero fare. Cosa resta di ciò che viene scritto?

L'occasione di farlo ci è stata data dal libro di ‘Ugo Samaja. Autopsia di una vita’ un medico ebreo Triestino nell'Italia fascista” che allontanato dall’Ospedale di Trieste nel 1938 in seguito alle leggi razziali, si rifugia con la sua compagna Lucilla per due anni in una valle nell'alta Val Seriana chiamata Valcanale.
 

Così, io mio marito Paolo e i nostri amici Michele Samaja e sua moglie Ilaria abbiamo deciso di andare il 15 e 16 agosto, giorni di festa per la valle, a far conoscere il suo libro, un vero e sincero ringraziamento postumo a tutta la gente di Valcanale e al parroco di allora Don Antonio Magri che li aveva aiutati.

Si, perchè Ugo Samaja e la moglie Lucilla ricorderanno i due anni dal 1943 al '45 vissuti in Valcanale come i più felici della loro vita e anche se ogni giorno per loro poteva essere l'ultimo, visti i continui rastrellamenti dei tedeschi e delle squadre fasciste qui, “siamo cambiati e siamo stati felici” dice Ugo.

Loro, che arrivavano da condizioni di vita agiata impareranno a fare di tutto per sopravvivere: i boscaioli, i carbonari, a far maglioni, e a scappare su per quel pratone così ripido ed esposto sino al bosco e poi sempre più in alto nelle grotte alla Ral del la Cruz per salvare la pelle.

Dare vita a un libro non è facile, alcuni come noi lo fanno attraverso il teatro, unica forma viva di emozioni umane. Ma, quello che abbiamo vissuto noi in questi due giorni è qualcosa che nessuno si aspettava di trovare. Semplicità, accoglienza, curiosità, partecipazione sentita che hanno arricchito noi e i racconti di Ugo Samaja.

Siamo entrati in sintonia con la gente partecipando alle loro feste, Maria Assunta il 15 agosto a Valcanale e di S. Rocco a Zanetti il 16 agosto, poi la processione nelle minuscole vie del paesino, la messa all’incanto del formaggio locale e del salame, un buon metodo per aiutare la parrocchia e la comunità del borgo. Poi la caccia al tesoro con i giovani urlanti e felici e la grande tombolata al coperto per paura della pioggia. Gente meravigliosa, fortunati noi.
 

La sera del 16 agosto all’oratorio di Valcanale tutta la gente della valle ci ha abbracciato, si… proprio così, abbiamo sentito l’abbraccio della gente accorsa numerosa ad ascoltare le parole di Ugo Samaja, ben raccontate da Paolo e dal parrocco di Valcanale Don Fabio, in un clima di assorto silenzio e partecipazione.

 

Poi, rotti gli argini i ricordi sono riaffiorati e molti hanno raccontato aneddoti di quegli anni terribili e difficili ma colmi di solidarietà umana. Michele Samaja e la moglie Ilaria hanno dedicato questa serata ai giovani perché nulla deve essere dimenticato e l’esperienza vissuta da Ugo e dalla moglie Lucilla resti ad esempio per noi e per le generazioni future.

Grazie, alle donne e uomini di Valcanale.

Paolo Rausa &Ornella Bongiorni

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