Questa affermazione può apparire un paradosso, ma l’aggiornamento dei dati nutrizionali dei salumi italiani parla chiaro:
i prodotti dei giorni nostri sono molto più magri di quelli del 1993. L’Istituto Valorizzazione Salumi (IVSI) e l’Istituto Salumi Tutelati (ISIT) hanno aggiornato le analisi sui prodotti di salumeria.
I dati dello studio evidenziano quanto i miglioramenti di condizioni d’allevamento e di processo produttivo abbiano inciso positivamente sui prodotti, riducendo i grassi. Non ultimo, la legislazione in materia e l’istituzione dei marchi DOP e IGP garantiscono la qualità, difendono la tipicità e la rispondenza a rigidi disciplinari di produzione.
Benché il termine salume derivi proprio dal sale, che storicamente è il conservante maggiormente usato, grazie alle ottime condizioni igieniche di preparazione e stagionatura, le concentrazioni di cloruro di sodio sui prodotti si sono potute ridurre sensibilmente: sempre rapportati ai dati del 1993 si va dal meno 4% della coppa al meno 45% della pancetta.
Pensiamo al prosciutto cotto, nella dieta di molti anziani, per la sua facile digeribilità ed assimilabilità, ha visto il suo contenuto di sale diminuire del 9%, mentre il crudo San Daniele DOP ed il Parma DOP sono addirittura a -30%. Fra gli altri, la mortadella contiene il 20% di sale in meno ed il cotechino il 27% in meno.
I grassi: bandiera negativa di qualsiasi proclama salutistico (ricordiamo però che la dieta mediterranea, universalmente riconosciuta come regime alimentare ideale, prevede apporto di grassi nella misura del 20-30%): la presenza di grassi nei salumi nel periodo considerato è diminuita mediamente del 20% con punte del 48% nel prosciutto cotto, del 34% nel tanto bistrattato cotechino, dell’11% nella mortadella. Oltre alla quantità di grassi, anche la qualità è modificata: i grassi saturi sono ora ridotti del 40%, mentre quelli insaturi rappresentano il 60% dei grassi totali. ll prosciutto crudo, volano della produzione salumiera italiana, è divenuto il re di alcuni regimi dietetici anche per per atleti grazie al suo ridotto contenuto lipidico e calorico e l’ottimo apporto proteico.
Fonte: IVSI comparativo 1993-2011 www.salumi.italiani.it
Colesterolo ridotto secondo le analisi: nel prosciutto cotto è del 22% in meno rispetto a quello del 1993, il Parma DOP addirittura ha un 32% in meno, la pancetta -15% e il cotechino -12%.
Rammentiamo che il colesterolo ha anche un compito importante per la sintesi degli ormoni, per le cellule e per il metabolismo.
Fonte: IVSI comparativo 1993-2011 www.salumi.italiani.it
Nitrati e nitriti, grazie all’ottimizzazione dei processi produttivi, nei salumi analizzati sono spesso assenti, non rilevabili o presenti in quantità del tutto innocue.
Generoso nei salumi l’apporto vitaminico, soprattutto di vitamine B1 B2 e B3 che attendono a numerose importanti funzioni vitali, ad esempio di nutrimento dei tessuti nervosi, per il metabolismo dei carboidrati, nutrizione di pelle e mucose, respirazione cellulare e sintesi di amminoacidi, acidi grassi e colesterolo. Poi vitamine B12 e B6 oltre che alla vitamina E, significativo antiossidante naturale.
MARCHI DI QUALITA’ A DIFESA DEL CONSUMATORE
A livello europeo l’Italia può vantare 41 prodotti che si fregiano dei marchi DOP e IGP, ossia un terzo di tali prodotti dell’intera Europa.
Il consumatore sappia che ad acquistando un prodotto DOP ha la garanzia che produzione, trasformazione, lavorazione avvengono in un’area limitata nel rispetto della tradizione e dei disciplinari. Ad esempio cosce troppo grasse o magre, vengono escluse dal percorso DOP del prosciutto di Parma o di San Daniele.
L’IGP, invece, caratterizza solo una parte del processo: la Bresaola della Valtellina IGP per fare un esempio è di norma prodotta con tagli di carne bovina di provenienza estera ma lavorata e stagionata secondo un disciplinare stabilito in una determinata area, la provincia di Sondrio.
Nel prosciutto cotto, ad esempio, il termine “alta qualità” è determinato per legge dal 2005, garantisce l’eccellenza della materia prima, la provenienza nazionale delle cosce ed un’umidità inferiore al 75,5%. A scalare ci sono poi il prosciutto cotto “scelto” ed infine il semplice “prosciutto cotto”, dalla fetta del quale difficilmente si scorgono le fasce muscolari della coscia.
Impariamo dunque a leggere le etichette, guardiamo pure marchi e scadenze, ma controlliamo gli ingredienti dichiarati e se c’è qualcosa che non ci torna, utilizziamo il nostro potere di consumatori: chiediamo o asteniamoci dall’acquisto.
Ecco i salumi italiani che hanno il marchio DOP e IGP:
DOP ITALIANI | IGP ITALIANI |
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STORIA E GEOGRAFIA
Quando ci troviamo a viaggiare per la nostra splendida penisola, possiamo concederci gli assaggi di prodotti locali confidando in solide garanzie; essi hanno un legame con la storia, con la geografia enogastronomica, con le tradizioni e perfino con la famiglia del produttore.
I prodotti hanno molto da raccontare: la lucanica, che appunto i lucani producevano per i nobili della corte imperiale, i prosciutti che l’esercito romano si portava come scorta alimentare nelle battaglie oltreconfine, la pancetta piacentina che andava dalla regina di Spagna; la mortadella, il più antico salume il cui nome deriva da mirtatum (o mortatum), dall’uso cioè del mirto come erba aromatica oppure dal fatto che veniva prodotta in mortai.
L’enorme privilegio del nostro territorio è di poter disporre di una tavolozza di variabili:
- Di materia prima: i suini “rosa” per la produzione dei prosciutti alimentano gran parte della salumeria italiana; in via di recupero ci sono poi le razze autoctone (ricordiamo che i suini dei dipinti medioevali erano solo neri, a lato l’allegoria del “buon governo” palazzo civico di Siena), come la cinta senese, la mora romagnola, il nero dei Nebrodi, la casertana, allevati spesso allo stato brado o semi-brado che, da produzioni di nicchia stanno conquistando il favore degli esperti e dei consumatori.
- Di spezie e di erbe aromatiche: contribuiscono al bouquet ed hanno anche funzione conservante. Sono elementi vegetali freschi (meno frequentemente), secchi (spesso) come cannella, pepe, macis, chiodo di garofano, noce moscata, ginepro, finocchio e tanti altri; il loro uso è diverso da zona a zona: la nduja calabrese ad esempio contiene il 30% di peperoncino in polvere(!), spezia assente nei salumi del nord.
- Di lavorazione: l’affumicatura è presente sia al nord (speck) che a sud (salame napoletano); la stagionatura breve o protratta; la presenza di specificità climatiche uniche come quelle che fanno maturare il culatello a Zibello o il Jambon de Bosses nell’omonimo comune della Valle d’Aosta.
- Di varietà, di produzioni: vanno dal salume con le barbabietole e le patate (Bodeun) della Val d’Aosta, al salame d’oca di Mortara, al lardo di Colonnata che giace in conche di marmo come un prezioso segreto; la coppa o capocollo che si concia in modi differenti a Piacenza o a Martinafranca, che si ricopre di peperoncino in Calabria e di finocchio in Toscana. La Bresaola, salume di bovino aromatico e proteico, con un contenuto in grasso praticamente inesistente.
Un tempo il nonno norcino, prima di lasciare questa terra, consegnava al parente che riteneva più “degno” il proprio sapere e la propria arte, che fino a quel momento aveva tenuta gelosamente segreta. In molte famiglie italiane ancora si “fa il salame in casa” non più con fini di pura sussistenza (il maialino-salvadanaio deriva proprio dal fatto che tale animale sosteneva la famiglia per tutto l’inverno), ma per tenere viva una tradizione ed una storia famigliare che vuole che chi ci ha insegnato qualcosa continui a vivere nella riproposizione dei suoi riti.
ADESSO CHE ABBIAMO LA QUALITA’ ANDIAMO A GUSTARE!!
“Non c’è uomo che non sappia bere o mangiare, ma sono pochi in grado di capire che cosa abbia sapore” (Confucio, 479 a.c.).
Dietro un prodotto c’è molto lavoro, tempo, natura, tecnica. Rispettando tutto ciò s’impara a gustare anziché inghiottire: saremo più appagati e daremo un nome ai diversi aspetti della nostra esperienza sensoriale.
Usiamo i sensi: prima la vista, poi l’olfatto, infine il gusto. Si dice che si mangia per primo con gli occhi. Osserviamo bene cosa abbiamo nel piatto, se presenta difetti e se risponde ad una tipicità (disciplinare o specialità locale), poi avviciniamolo al naso ed inspiriamo: i salumi ci sanno regalare profumi delicati o intensi a volte complessi; un buon salume frutto di una adeguata stagionatura ci catturerà col suo profumo che può essere di una spezia o erba dominante, di carne stagionata, dell’affumicatura se presente, di aglio o vino nel salame. All’assaggio, il calore della nostra bocca e la saliva libereranno dapprima i sapori (notoriamente 4: salato, dolce, amaro e acido; positivi i primi due, mentre acido e amaro sono normalmente difetti) e poi per via retronasale gli aromi, che ci confermeranno o meno quello che abbiamo sentito con l’olfatto, aggiungendo se presente sapidità e quelle note delicate, decise o violente che caratterizzano il prodotto. Infine valuteremo la persistenza (quanto rimane la sensazione aromatica), la piacevolezza e la facilità alla masticazione.
Ora, domandiamoci pure: vorrei ripetere l’esperienza? Ne gusterei ancora una fetta? Molto empiricamente, la risposta ci segnalerà l’equilibrio gusto-olfattivo del salume.
Per chi volesse approfondire la conoscenza dell’analisi sensoriale applicata ai salumi, ONAS (Organizzazione Nazionale Assagggiatori Salumi) fondata nel 1999, da anni insegna in tutta Italia a conoscere i prodotti, la loro storia e ubicazione; riconoscere i sapori, gli aspetti olfattivi e gustativi, valutare un salume e saper riconoscere i difetti. Mediante degustazioni guidate ed un percorso tematico strutturato, chi per passione o per motivi professionali ha interesse ad approcciarsi a questo mondo in modo più approfondito può trovare nel sito www.onasitalia.org tutti i riferimenti nazionali e locali per poter ricevere informazione sui corsi più vicini e sulla formazione come tecnico assaggiatore.
a cura di Renato Dotti, maestro assaggiatore ONAS,
per Redazione RecSando
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