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I privilegi intollerabili di alcuni settori pubblici. Chi li copre?

di Paolo Rausa
Gli strali dei cittadini si sono indirizzati in quest’ultimo periodo di crisi contro i privilegi della cosiddetta ‘casta’. Un libro dei giornalisti Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo ne ha evidenziato gli aspetti inquietanti, ancora più insopportabili in un momento in cui la situazione critica coinvolge migliaia di persone che hanno perso il posto di lavoro e molti altri che rischiano di perderlo.
Ancor più gravissimo il fatto che i giovani abbiano perso le speranze di poter accedere a qualsiasi forma di impiego.
C’è un aspetto che stride pazzescamente contro questa situazione: la condizione di privilegio che interessa alcuni settori pubblici, non solo i politici, e vorrebbero assurdamente mantenerlo. Ci aiuta ancora una volta la lucida analisi del giornalista Sergio Rizzo con un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, in relazione agli stipendi spropositati e alle condizioni di privilegio che godono i dipendenti delle Camere e alcuni settori delle Regioni. Per fare degli es., alle Camere sopravvivono dei meccanismi di moltiplicazione degli scatti – una specie di generosissima scala mobile – che fanno lievitare in alcuni casi anche del 400 per cento lo stipendio netto.

 Meccanismi che sono il frutto di accordi scelleratissimi con sigle autonome sindacali – alla Camera ce ne sono ben 14! – che fanno del corporativismo il loro cavallo di battaglia. Lo stipendio medio di un dipendente di Camera e Senato è di 150 mila € lordi, a fronte dei 40 mila che prende il loro collega della Camera dei Comuni britannica. La retribuzione di un commesso a fine carriera può raggiungere il considerevole importo di 159 mila €, mentre uno stenografo dopo 40 anni di attività arriva a percepire 289 mila €, quasi quanto l’indennità del re in Spagna, 70 mila in più del compenso che percepisce il segretario generale dell’ONU. Il segretario generale del Senato, Antonio Malaschini, percepiva uno stipendio di 485 mila € l’anno, poi salito a 550 mila €. Divenuto sottosegretario alla presidenza del Governo Monti, ha conseguito una pensione parlamentare di 519 mila € lordi annui, quasi il doppio dell’indennità del Presidente degli Stati Uniti. Sulla stessa linea le spese folli delle Regioni per il personale dei Consigli Regionali: nel 2012 quasi 360 milioni di €, una spesa pari a quella delle due Camere. Il segretario generale della Regione Sicilia arriverebbe a percepire più dei suoi colleghi di Camera e Senato. Ancora. Le spese del personale consiliare in Sicilia ammontano a 86,6 milioni di €, contro i 20,8 della Regione Lombardia, che ha il doppio della popolazione. Come non essere d’accordo quindi con Matteo Renzi che intende fissare a 240 mila € il parametro di riferimento per le buste paga, una linea condivisa dalla Presidente della Camera Laura Boldrini che per questo ha ricevuto una selva di fischi di contestazione dai dipendenti? Che cosa sta succedendo in Italia, se oltre alle rivendicazioni corporative delle sigle sindacali autonome ora si aggiungono anche quelle dei sindacati nazionali? Il loro comportamento sta mettendo seriamente a repentaglio il destino delle aziende e la difesa della stragrande maggioranza dei lavoratori. Il caso Alitalia e il Teatro dell’Opera di Roma forniscono gli esempi più eclatanti di come in un caso la UIL, nell’altro la CGIL, si siano messe a contestare e a impedire accordi che salverebbero la stragrande maggioranza dei lavoratori a fronte di sacrifici minimi imposti ad una minoranza. Come se ne uscirà? Solo comprendendo con coraggio che in queste condizioni di crescente povertà certi privilegi sono ormai indifendibili.

 

 

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