La storia dell' agricoltura ebbe inizio nel neolitico, quando piccoli gruppi nomadi di homo sapiens sapiens abbandonarono la raccolta e la caccia, stabilendosi in piccoli villaggi e dedicandosi alla coltivazione di piante. Questi nostri antenati scelsero determinate piante selvatiche sulle quali operarono una vera e propria “domesticazione”, basata sulla selezione e su incroci indirizzati a necessità di consumo:
- La parte commestibile doveva essere più grande possibile, ad esempio il teosinte, progenitore selvatico del mais, si presenta come un piccolo arbusto ricco di piccole infiorescenze, ben lontane dalle attuali pannocchie
- Alcune piante selvatiche, come le progenitrici dell’attuale patata e melanzana, dovevano perdere i composti che ne rendevano i frutti tossici all’uomo, anche nel caso questi le difendessero da erbivori o roditori
- Le piante dovevano resistere ai parassiti, i quali, sviluppandosi in un campo in cui tutte le piante appartenevano alla stessa specie, potevano facilmente cibarsi di interi raccolti
- Le piante dai semi commestibili non dovevano disperderli, come normalmente avveniva in natura, cosicché i chicchi di grano ora più non cadono dalla spiga e i fagioli rimangono chiusi nel loro baccello
- I semi dovevano inoltre germinare tutti insieme anziché in momenti diversi, come avveniva nelle progenitrici selvatiche
Le piante addomesticate diventarono così dipendenti dall’intervento dell’uomo, fino al punto che senza le cure del contadino non sarebbero più riuscite a sopravvivere. Avvenne anche il contrario: le popolazioni umane divennero presto così numerose da non poter più tornare indietro alla caccia e alla raccolta.
Per migliaia di anni, lo strumento a disposizione per adattare e migliorare geneticamente i raccolti rimase sempre lo stesso. Una moltitudine di uomini e di donne senza nome, passo dopo passo, tenacemente, modificarono quanto offerto dalla terra, adattandolo alle diverse condizioni e alle più varie situazioni climatiche. Un miglioramento faticoso e molto lento.
Le cose cominciarono a cambiare solo nel Settecento, quando negli orti botanici europei ( luoghi dove venivano riunite varietà di piante provenienti da diversi paesi), gli agronomi effettuarono i primi esperimenti di ibridazione: incroci controllati tra esemplari della stessa specie. Nacque così la fragola moderna, frutto dell’incrocio fra le progenitrici selvatiche, europea e americana. Nel 1747 fu inoltre notato il contenuto in zucchero della barbabietola, la cui modifica, nel corso dell’Ottocento, rese possibile la produzione del saccarosio puro: il primo dolcificante ampiamente disponibile, in alternativa al già presente miele. Tutto questo però era frutto di osservazione, intuito, fortuna e tanta pazienza, perché nessuno conosceva ancora il metodo di trasmissione dei caratteri ereditari da una generazione all’altra.
Solo intorno al 1900, in seguito alle scoperte di Mendel sulla trasmissione dei caratteri ereditari, si ebbe un concreto miglioramento sulle conoscenze della genetica nelle piante. I genetisti agrari cominciarono a organizzare “matrimoni combinati” tra diverse piante con caratteri utili, favorendo una trasmissione di tali alla progenie. Successivamente piantarono le colture così ottenute in varie condizioni, ambientali e climatiche, cercando di provocare un adattamento spontaneo.
Alla selezione e all’incrocio mirato si aggiunsero poi nuove tecniche di ibridazione artificiale, le quali consentirono il trasferimento di geni non solo fra varietà della stessa specie, ma anche fra specie differenti ma strettamente imparentate.
Inoltre, per aumentare ulteriormente la variabilità genetica dalla quale attingere, vennero anche impiegate sostanze chimiche o radiazioni capaci di produrre nuove mutazioni del patrimonio genetico delle piante. Alcune varietà di grano duro con le quali si fabbrica oggi la pasta sono state ottenute utilizzando genitori prodotti proprio in questo modo.
A partire da quei primi decisivi passi nel Vicino Oriente, il processo di modificazione genetica delle piante coltivate per migliorare le caratteristiche dei raccolti non si è mai fermato, né avrebbe potuto farlo. Per due motivi:
- Il primo è che le popolazioni umane tendono ad aumentare più velocemente rispetto alla produzione agricola, tanto che spesso nel corso della storia non c’è stato cibo per tutti. Nei paesi sviluppati abbiamo per fortuna dimenticato malnutrizione e carestie, ma queste hanno caratterizzato periodi della storia europea fino a pochi decenni fa.
- Il secondo è che l’ambiente in cui le piante coltivate vivono cambia in continuazione. Sia lentamente, cambia il clima. Rapidamente, invece, nuovi parassiti si adattano riuscendo a vincere le difese delle piante. Vengono messe a punto nuove tecnologie agricole, come l’aratro che modifica la struttura del suolo o l’irrigazione che aumenta la disponibilità d’acqua. Le piante vengono portate in regioni nuove, dove sono diversi il clima, il suolo, la temperatura, la durata del giorno, i parassiti. Si pensi solo agli adattamenti resi necessari in seguito al grande scambio di piante avvenuto intorno al Cinquecento, quando le scoperte geografiche portarono in Europa mais, patata, pomodoro, zucca e fagioli dalle Americhe e riso dall’Asia, in Nordamerica frumento, orzo e mandorle dall’Europa, e poi ancora banane dall’Oceania in Africa e in Sudamerica.
[Informazioni ricavate da Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione]