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“Dove Giocano i Bambini? Il Grido Ambientale di Cat Stevens”

Where do The Children Play ?
Videoclip realizzato nel 2021
Nell’autunno del 1970, Cat Stevens (oggi noto come Yusuf Islam) apriva il suo album Tea for the Tillerman con una canzone che sarebbe diventata un inno profetico sull’impatto dell’industrializzazione e della tecnologia sulla natura e sulle nuove generazioni. “Where Do the Children Play?” non è soltanto un pezzo folk-rock dall’arrangiamento essenziale e avvolgente, ma una domanda diretta e insidiosa: “Abbiamo fatto tanti passi avanti, stiamo cambiando di giorno in giorno, ma dimmi: dove giocano i bambini?”. In queste righe, analizzeremo il testo, cercheremo di coglierne il messaggio profondo e ne evidenzieremo il valore attuale, soprattutto in un momento di emergenza climatica, di consumo del suolo e di distruzione degli spazi verdi.
Il contesto e l’intento di Cat Stevens
Quando Cat Stevens scrisse “Where Do the Children Play?”, aveva circa 22 anni e viveva a Londra. In un’intervista, Cat Stevens / Yusuf spiegò che, cresciuto nella capitale britannica dei primi anni ’60, vedeva spesso rovine belliche, pochi spazi verdi accessibili e bambini relegati a giocare in ambienti angusti come i locali interrati della scuola. Quel senso di frustrazione verso la mancanza di “verde” per le nuove generazioni alimentò la composizione del brano, pensato sin da subito come una riflessione sul valore (o sulla perdita) della dimensione naturalistica in favore di un progresso percepito come cieco e distruttivo.
William Ruhlmann, recensendo l’album per AllMusic, sottolinea come Tea for the Tillerman tendesse a “rifiutare il mondo moderno in favore di un appagamento spirituale”, iniziando proprio con questo quesito che mette in discussione la corsa al progresso tecnologico. Già allora, la canzone evidenziava come il “progresso” – inteso come realizzazione di grandi opere, espansione urbana e industrializzazione – potesse avere un prezzo altissimo in termini di vivibilità, equità sociale e tutela ambientale.
Where Do The Children Play – Edizione Originale del 1970 tratta dall’ Lp ” Tea For The Tillerman”
Analisi lirica strofa per strofa
Prima strofa: macchine e desideri artificiali
Well, I think it’s fine, building jumbo planes
Or taking a ride on a cosmic train
Switch on summer from a slot machine
Yes, get what you want to if you want
‘Cause you can get anything
In questi versi, Stevens inizia con un’apertura quasi cinica: celebra – o perlomeno accetta – la realizzazione di “jumbo planes” e il viaggio su un “cosmic train”. Sono metafore della tecnologia e dell’ambizione industriale che, pur restituendo un senso di potenza e meraviglia (“puoi ottenere tutto ciò che vuoi”), nascondono un significato più profondo: il desiderio di muoversi senza restrizioni, il culto del consumo fine a sé stesso, l’illusione che l’uomo possa controllare tutto con un semplice gesto (lo “switch on summer from a slot machine”). Il rischio è che, nell’inseguire questi grandi progetti, si perda di vista ciò che rende la vita autentica: spazi aperti, aria pulita, tempo per i più piccoli.
Seconda strofa: strade sulla terra viva
Well, you roll on roads over fresh green grass
For your lorry loads pumping petrol gas
And you make them long, and you make them tough
But they just go on and on, and it seems that you can’t get off
Qui Stevens descrive strade asfaltate che “rullano” sul “prato verde” in nome di carichi pesanti (“lorry loads”) e consumo di carburante. La ripetitività delle opere (“le fai lunghe, le fai dure, ma continuano all’infinito”) suggerisce un ciclo senza fine: si costruisce, si consuma, si distrugge, senza che si riesca veramente a fermarsi. La terra – simbolo di vita, di crescita spontanea – viene sacrificata sull’altare della “mobilità”. Il verso “you can’t get off” suona come un’ammonizione: una volta partita questa spirale, è difficile tornare indietro. Già nel 1970, Stevens stava denunciando la trasformazione degli habitat naturali in autostrade, con il conseguente degrado dell’ambiente in cui i bambini avrebbero dovuto crescere e giocare.
Terza strofa: grattacieli e schiavitù delle decisioni altrui
Well, you’ve cracked the sky, scrapers fill the air
But will you keep on building higher
‘Til there’s no more room up there
Will you make us laugh, will you make us cry?
Will you tell us when to live, will you tell us when to die?
Il terzo blocco lirico introduce l’immagine dei “scrapers” che “riempiono l’aria” dopo aver “fessurato” il cielo. L’uomo, in nome della crescita economica e della speculazione immobiliare, sembra voler occupare ogni centimetro libero, osando sfidare i limiti naturali. La domanda retorica “will you keep on building higher ’til there’s no more room up there?” interroga direttamente l’audacia – o la follia – di chi continua a innalzare grattacieli come fossero monumenti alla vanità, senza curarsi del fatto che oltre un certo punto non c’è più spazio né aria.
Gli ultimi versi mettono in rilievo un ulteriore nodo: il potere – politico, economico, tecnologico – di decidere le nostre esistenze. “Will you tell us when to live, will you tell us when to die?” non riguarda solo la gestione dello spazio fisico, ma anche il controllo sulle nostre vite, sulle emozioni, sulle scadenze biologiche. Il progresso tecnologico rischia di trasformarsi in una macchina che decide tutto per noi, riducendo gli esseri umani a meri ingranaggi di un sistema più grande.
Il ritornello e la domanda centrale
I know we’ve come a long way
We’re changing day to day
But tell me, where do the children play?
Il ritornello esplicita il contrasto: l’umanità è “andata avanti” e si “rinnova” costantemente, ma si interroga – quasi con timore e rimpianto – sul destino dei più piccoli. È una domanda aperta, non offre soluzioni precostituite: invita il pubblico a riflettere su quale futuro stiamo offrendo alle nuove generazioni. Se lo spazio per “giocare” viene divorato da strade, edifici e infrastrutture, dove potranno crescere i bambini? Dove potranno sviluppare creatività, immaginazione e relazioni autentiche con l’ambiente?
Il messaggio di Cat Stevens: una lezione ancora valida
Anticipazione del tema ambientale
Cat Stevens – con la sua cifra melodica semplice ma incisiva – realizzò un’istantanea dell’inizio degli anni ’70 in cui il boom economico e la corsa al benessere stavano causando un consumo di suolo senza precedenti. Pur non usando un linguaggio esplicitamente “ecologista” (termine che, in quegli anni, era ancora agli albori), la canzone si inserisce nel filone del folk protest song, focalizzandosi sul rischio che “il progresso” diventi sinonimo di distruzione. Già negli anni ’70, musicisti quali Joni Mitchell, Bob Dylan e – appunto – Cat Stevens, stavano ponendo l’accento sui danni causati dall’industrializzazione incontrollata e dalla perdita di connessione con la natura
Attualità: emergenza climatica, consumo di suolo, deforestazione
Oggi, a oltre cinquant’anni di distanza, risentiamo la potenza di quei versi proprio mentre affrontiamo:
Emergenza climatica globale: temperature record, scioglimento dei ghiacciai, eventi meteorologici estremi sono all’ordine del giorno. Le emissioni di CO₂ pro capite continuano a crescere in molte nazioni, nonostante gli sforzi di riduzione di alcuni paesi europei.
Consumo di suolo vergine: in Italia – e in Lombardia in particolare – vaste aree agricole e boschive vengono trasformate in nuove aree residenziali e commerciali. Solo negli ultimi cinque anni, stime di ISPRA indicano che abbiamo perso centinaia di chilometri quadrati di suolo fertile. Tagliare alberi per costruire nuovi insediamenti o per ampliare infrastrutture senza adeguati piani di compensazione ecologica ha ripercussioni sulla biodiversità, sul dissesto idrogeologico e sulla qualità dell’aria.
Guerre e crisi geopolitiche: conflitti armati spesso interessano territori ricchi di boschi o riserve naturali (pensiamo alla Siria, all’Ucraina, al Sahel), dove distruzione e scie di emissioni legate a bombe, bombardamenti e movimenti di veicoli militari aggrava ulteriormente la crisi climatica e umanitaria.
Distruzione superficiale degli alberi: potature drastici e abbattimenti spesso avvengono senza un vero piano di gestione sostenibile, con conseguente perdita di catene alimentari, diffusione dell’inquinamento acustico e termico, oltre a un impoverimento dell’ossigenazione urbana.
In questo contesto, la domanda di Cat Stevens – “Where do the children play?” – si trasforma in un monito urgente: se continuiamo a inseguire un modello di sviluppo miope, garantiremo davvero uno spazio in cui i nostri figli possano crescere sani, creativi e liberi?
Quali lezioni possiamo trarre oggi?
Riscoprire il valore degli spazi urbani “green”
L’esperienza di molte città europee (Milano compresa) insegna che valorizzare parchi, giardini, alberature urbane e corridoi ecologici non è solo un vezzo estetico, ma una necessità per la qualità della vita. Policiclistica, aree pedonali, rigenerazione di aree dismesse con orti urbani e boschi di comunità sono iniziative che rispondono alla spinta evocata da Stevens: creare spazi in cui i bambini possano correre, scoprire il mondo e costruire legami sociali autentici.
Promuovere un’economia circolare e rispettosa del territorio
Cat Stevens ci invita a riflettere sull’effetto a catena che ha ogni nostra scelta: dal veicolo che utilizziamo al modo in cui costruiamo case e grattacieli. Oggi, proposte innovative come l’“edilizia sostenibile”, l’uso del legno certificato FSC, la riqualificazione energetica degli edifici e l’adozione di materiali da costruzione “a km 0” rappresentano risposte concrete. È fondamentale richiedere ai decisori pubblici (comuni, regioni) piani di governo del territorio che identifichino aree non edificabili, da preservare perchè suolo vergine, e invece “tassativamente” incentivino il recupero del patrimonio esistente e mettano al centro la tutela dell’ambiente.
Educare alla consapevolezza ambientale fin dall’infanzia
Un’ulteriore lezione è la necessità di far crescere i bambini con una coscienza ecologica attiva: laboratori all’aperto, orti scolastici, programmi di educazione ambientale che li tengano lontani dagli schermi e li immergano nella natura. Se i più piccoli non sperimentano la bellezza di un prato, di un boschetto o di un corso d’acqua, difficilmente da adulti avranno a cuore la sua salvaguardia. La domanda di Stevens – ponendosi dalla prospettiva del bambino – smaschera il rischio che, in una corsa al progresso senza regole, i più fragili siano relegati in spazi di cemento, prive di natura e di opportunità di scoperta.
Coinvolgere comunità e associazioni locali
In assenza di spazi pubblici accoglienti, spesso le esperienze di “rigenerazione civica” nascono dal basso: gruppi di cittadini organizzano iniziative di piantumazione, pulizia di aree verdi, progetti di riqualificazione di cortili scolastici. Proprio in Lombardia e nel Sud Est Milano, molte realtà associative hanno promosso in questi anni percorsi di agricoltura urbana, creazione di parchi lineari e boschi partecipati, cercando di riavvicinare territorio e cittadini. Queste esperienze – rispondendo implicitamente al quesito “dove giocano i bambini?” – dimostrano che, là dove istituzioni e cittadini collaborano, è possibile invertire la tendenza al consumo di suolo e rigenerare gli spazi “morti”.
Fabrizio Cremonesi – RadioCodaRitorta

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