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Coronavirus: Intervistiamo il Prof. Fabio Sbattella

Il valore aggiunto dell’informazione di N>O>IRecSando è sempre stato il territorio. Nel mondo di oggi, globalizzato e totalmente interconnesso, il discutere di ciò che ci accade accanto è davvero un plus spesso dimenticato. Ma viviamo giorni veramente difficili, nei quali l’informazione che ci giunge dall’altra parte del mondo può essere facilmente assimilata a quella della porta accanto.

Partendo da questo assunto, abbiamo ritenuto di compiere un’operazione importante andando a intervistare esperti e personalità che nella crisi sanitaria, economica, politica e sociale attuale hanno ognuna qualcosa da dire e da dare. Crediamo, sempre dicendolo modestamente, di esserci riusciti. Ma a Voi la parola finale. Buona lettura.

INTERVISTA AL PROF. FABIO SBATTELLA, DOCENTE DI PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA PRESSO L’UNIVERSITÀ CATTOLICA DI MILANO, PSICOLOGO E PSCICOTERAPEUTA

DOMANDA:

1 ) Buongiorno Prof. Sbattella, stiamo indubbiamente vivendo un periodo di grande tensione emotiva, un periodo del quale oltretutto non si riesce a vedere la fine. Durante ogni crisi si sprigionano mancanze e richieste di natura diversa, unitamente a problematiche multistratificate che possono avere un’eziologia indefinita e quindi di più difficile risoluzione. A quasi 2 mesi dall’inizio di questa vera e propria tragedia nazionale, possiamo arrivare a dire che, almeno dal punto di vista temporale, per gli effetti che il protrarsi di una situazione come questa comporta, si sta arrivando verso il punto di non ritorno ?

RISPOSTA:

Credo sia utile iniziare a spiegare la diversità che intercorre tra urgenza ed emergenza, per meglio comprendere la gravità della situazione che stiamo attualmente vivendo. Definiamo urgenza la situazione in cui le gravi difficoltà vengono affrontate rapidamente. Emergenza invece una situazione in cui le risorse predisposte per affrontare le gravi difficoltà non sono sufficienti. Facciamo l’esempio di un pronto soccorso. Un buon servizio, magari abituato ad accogliere e porre rimedio quotidianamente a 5 casi in codice rosso (condizione che definiamo di urgenza quotidiana) da un momento all’altro si vede investito da 50 e più casi gravissimi (questa la chiameremo invece emergenza ). Cosa accade? Il personale dovrà chiedere aiuto, perché diventa rapidamente consapevole che non può farcela a salvare tutti.  Ecco, noi stiamo attualmente vivendo in Lombardia, una emergenza.  La professionalità e la buona volontà degli operatori sanitari si è trovata a contrastare una vera e propria tempesta umanitaria. Una situazione, ove cioè le sole forze in campo non bastano. Per questo, in molti punti esse sono state travolte,  pur combattendo strenuamente e dando tutto ciò che poteva essere dato e forse di più. Da qui però inizio a trattare la questione sottopostami tramite la professionalità che più mi compete, vale a dire quella inerente l’aspetto psicologico delle vicende. Molto spesso, anzi, troppo spesso, l’attenzione è posta esclusivamente alla necessità di difendere la salute fisica delle persone, dimenticando che essa non puo’ essere separata da quella mentale.  I danni che una pandemia provoca alla mente, alle relazioni, alla capacità di reagire e sperare vengono molto sottovalutati.  Proprio questo modus operandi è alla base di un’impressionante casistica di sofferenze: malesseri e disagi dell’umore e delle relazioni che già hanno portato ad un aumento del 40% del consumo di psicofarmaci in Italia. Tali sofferenze si dilateranno ancora di più nelle fasi successive al dramma che stiamo oggigiorno vivendo. Io ho partecipato a campagne di aiuto quali il post-terremoto di Haiti ( gennaio 2010 ) e sono ben conscio di quanto tempo necessiti prima l’elaborazione del lutto e poi il tentativo di compiere una difficilissima risalita. L’essere umano, infatti, non è né solo corpo né solo mente, bensì un connubio indissolubile tra soma e psiche. E infatti l’obiettivo dichiarato per l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità ) è, secondo la sua costituzione, “il raggiungimento, da parte di tutte le popolazioni, del più alto livello possibile di salute”, definita come “uno stato di totale benessere fisico, mentale e sociale” e non semplicemente “assenza di malattie o infermità”. Ecco quindi che, focalizzandosi per esempio sugli operatori socio – sanitari, la nostra principale attenzione dovrebbe essere non solo la loro integrità fisica, ma anche e soprattutto la protezione da eventi che possono generare disturbi post traumatici da stress, o burnout. Perché si debba intervenire al fine di non portare a rottura questa categoria di persone, è più che logico: crollando loro infatti, crollerebbe il baluardo più importante da frapporre alle conseguenze della circolazione del virus. Senza la barriera di medici, infermieri, Oss e operatori sanitari in genere, i problemi da risolvere sarebbero decuplicati. Ma le cosiddette categorie a rischio non sono di certo soltanto queste, sia chiaro.

DOMANDA:

2) Professor Sbattella, vuole forse far riferimento al famosissimo adagio: prima le donne e i bambini ? Sempre sulla scia del voler affrontare l’emergenza CoronaVirus in termini di classi di appartenenza distinte, a quali altre parti della società si dovrebbe dare maggiormente protezione, soprattutto in casi come questo?

RISPOSTA:

Il  detto che Lei ha citato è certamente un buon punto di partenza. Tuttavia, in questi giorni stiamo assistendo a una vera e propria catastrofe umanitaria relativa ai nostri grandi anziani. Mi riferisco ai ricoverati nelle RSA lombarde, ma anche nelle altre regioni italiane le soluzioni adottate non sono state portatrici di esiti molto diversi. Maggiore attenzione dobbiamo porre, oltre agli anziani, anche a tutte le persone sole, barricate nelle loro case, poste in una condizione non volontaria di isolamento. Intendiamoci, alcune situazioni di grave solitudine erano già presenti anche  prima di questa pandemia, ma adesso è venuta meno anche quella forma di comunicazione minima (il vicino che passa e chiede come si sta, l’incontro in giardino con qualche condomino, ecc.)che  era un buon antidoto a molte forme di disperazione esistenziale. La solitudine non è solo una condizione materiale bensì è uno stato dello spirito. La sospensione delle relazioni si trasforma in deprivazione emotiva ed intellettiva e questo è dirompente per gli esseri umani, che per loro natura sono animali sociali. Dobbiamo dunque porre grande attenzione agli anziani e alle persone sole durante questa epidemia, senza dimenticarci di coloro che costituiscono il nostro futuro.

DOMANDA:

 3 ) Prof. Sbattella, sta forse facendo riferimento a coloro che venivano citati nella seconda parte di quella famosissima locuzione che abbiamo citato in precedenza, vale a dire i bambini ? Lei tra l’altro ha fatto uscire in libreria proprio pochissimi giorni or sono, una fiaba psicologica, dal titolo ‘ Nano Gianni e i granelli rossi’ con l’editore Giunti editore. Questo fa capire a chi ci legge quale sia l’attenzione che Lei ha riposto durante questa pandemia ai bambini e ai minori in generale. Possiamo spingerci a dire sono e saranno davvero, alla fine di tutto, i più colpiti da questo terribile esperienza che sta colpendo il nostro paese?

RISPOSTA:

Eccoci infine arrivati alla parte centrale di tutto il nostro ragionamento, quella che mi sta maggiormente a cuore e forse anche quella che l’aveva di più interessata per giungere a chiedermi questa intervista. I bambini. I nostri bambini. Il nostro futuro. Ebbene sì, in tale prospettiva siamo molto preoccupati. Molti non si stanno rendendo conto, a mio avviso, di ciò che sta accadendo alle fasce più giovani della popolazione. Provo a meglio spiegarmi tramite un paragone generazionale: finita la seconda guerra mondiale, i bambini nati subito dopo il conflitto sono stati il nucleo propulsore di quel benessere diffuso che ci ha accompagnati in maniera crescente fino a qui. E sfortunatamente, l’attuale fine di un ciclo vitale, anche dal punto di vista biologico nel nostro caso, sta coincidendo con la possibile creazione di una vera e propria Generazione COVID. Questo perché una fondamentale fetta di società sta vivendo sulla propria pelle un trauma che difficilmente si andrà a risolvere in maniera autonoma. I bambini, che sono soggetti che alle normali fragilità della crescita, sommano ad esse quelle dovute ad un contesto sociale impoverito e perturbato. Suggerisco di porre attenzione alle situazioni in cui i bambini vengono descritti come immuni da sofferenze in questo contesto. I bambini somatizzano spesso i loro disagi più di altri individui e adottano a volte strategie di difesa simili alle patologie dello spettro autistico (chiusura in sé stessi per intenderci). La letteratura scientifica sostiene che vedremo i postumi di questa tragedia anche tra 15 anni e questo anche perché  i più deboli tra i deboli, sono stati posti alla fine della lista delle azioni da realizzare per contrastare i danni alla salute mentale portati dalla pandemia. Come è possibile che i bambini sono blindati in casa da ormai 2 mesi e ancora non si pensi al loro ritorno all’aria aperta? I bambini stanno vivendo in uno stato di deprivazione esperienziale e relazionale nel periodo più importante del loro sviluppo neurologico. Non garantire loro nemmeno l’ora d’aria data ai carcerati è un qualcosa che pagheremo caramente in un domani più prossimo di quanto si pensi. Torno a ripetere inoltre che le tempistiche in atto sono fondamentali: la comunità scientifica mondiale che si occupa di psicologia clinica ritiene oggi che in molti casi uno stato di malessere psicologico che si protrae per anche 30 giorni può essere ancora visto in un’ottica di normalità, ma attualmente tale limite è stato superato già da molto. Su cosa accadrà domani dobbiamo rimanere sempre ottimisti, ma diciamo che le esperienze che stiamo vivendo non ci lasciano per nulla tranquilli.

La foto di copertina è stata realizzata da N>O>I – l’immagine del Professor Fabio Sbattella è tratta dal suo profilo Linkedin

Redazione N>O>I – Network Organizzazione Innovazione – FM-Staff


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