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Storia di un uomo qualsiasi che qualsiasi non è

di NADIA VISCONTI

STORIA DI UN UOMO QUALSIASI
CHE QUALSIASI NON E’

Confidenze di un anziano Odisseo
A cavallo tra il XX e il XXI secolo

Nell’illustrazione:  “Idillio” di Nadia Visconti

“Tre sono le Moire, di bianco vestite, che Erebo generò dalla Notte, e rispondono ai nomi di Cloto, Lachesi e Atropo.  Atropo è la più piccola di statura delle tre, ma la più terribile.  Zeus, che pesa sulla bilancia le vite degli uomini e informa le Moire delle sue decisioni, può si dice, cambiare parere e intervenire in favore di chi vuole, anche se il filo della vita di costui, filato dal fuso di Cloto e misurato da Lechesi, sta per essere reciso dalle forbici di Atropo ….”

Alzo lo sguardo dal libro che sto leggendo e istintivamente lo dirigo sul mio quadro appeso sulla parete di fronte a me:  il gatto che ho dipinto sembra fissarmi un po’ imbarazzato dal fatto che alle sue spalle i volti di un uomo e di una donna fatti di cielo e delineati da due alberi che s’intrecciano, stanno per baciarsi.
“Chissà che effetto farà il mio dipinto sui visitatori della mostra … Certo devo affinarmi molto nella tecnica …” e con un sospiro scorro le belle tele degli altri artisti espositori.
Ma non c’è storia:  a parte i quadri, le sculture, il mio gatto imbarazzato e me, questa mattina non c’è anima viva nella sala.

Mi appresto a riprendere la mia lettura quando dalla porta scorgo fare capolino un viso a me noto.
“Ciao Leonardo, come stai ?”  Mi alzo per stringergli la mano.

Ho conosciuto Leonardo qualche anno fa ad un corso per aspiranti volontari ospedalieri e da quando entrambi siamo diventati volontari effettivi abbiamo avuto modo di vederci saltuariamente in occasione di incontri e riunioni.

Leonardo è un personaggio nel suo genere.  Nonostante conti ormai 80 primavere al suo attivo è giovane dentro e fuori e darebbe la birra a molti cosiddetti sbarbati.  Il suo viso, ancora levigato, luminoso e terso, sempre abbronzato, denota una personalità solare e sanguigna.

“Non mi posso lamentare” risponde lui alla mia domanda.  “Alla mia età ci si barcamena al meglio, cercando di appagarsi con gli unici due piaceri che ci rimangono:  la buona tavola da una parte, ed io, credimi, non mangio molto ma mangio di tutto un po’, e dall’altra continuando ad avere una vita sessualmente attiva.  Non mi vergogno a dirlo, sai, ma con mia moglie faccio ancora all’amore …”.
Lo guardo tra l’imbarazzato e il compiaciuto.  “Credo che fare all’amore faccia bene in tutti i sensi – intervengo io – l’ho letto anche su un giornale;  pare che allunghi la vita prevenendo le malattie carcio-circolatorie e addirittura il cancro”.

“Amare è un’arte – continua lui – e io devo molto alle francesi.  Ero in marina, all’epoca, di stazza in Francia, ti parlo di quando avevo 18 anni.  I periodi di astinenza erano lunghi quando si era imbarcati e, come puoi immaginare, l’astinenza a quell’età è dura.  Così, quando ci veniva concesso di andare a terra, ci si dava alla pazza gioia.  Io ero poco più che un mandrillo frettoloso, ma quelle signore mi hanno insegnato l’arte di amare”.  Fa un respiro profondo, poi aggiunge:  “Anche le tedesche la sanno lunga in questo campo”.

Sgrano gli occhi e mi chiedo quante amanti abbia mai collezionato quest’uomo in gioventù e se Cloto, nel filare il filo della sua vita, abbia volutamente fatto in modo che la sua esistenza fosse sessualmente e sentimentalmente tanto intensa.

“Sai, sono stato rinchiuso in campo di concentramento in Germania.  Durante quel triste periodo della mia vita non avevo alcuno stimolo sessuale, c’era solo la disperata, quotidiana lotta per la sopravvivenza.  Le condizioni in cui eravamo costretti a vivere erano disumane”.

“Si, si, lo so – annuisco io – una mia zia che visse la tua stessa esperienza mi raccontò che erano ridotti a mangiare le bucce di patata”.

“Averne di bucce di patata – esclama lui – era un lusso.  Hai presente quei lombrichi lunghi, lunghi che affiorano dal terreno quando piove ?  Ecco, noi li raccoglievamo, li bollivamo e ce li mangiavamo”.  Rabbrividisco e penso a mio figlio che trova sempre di che scartare dalla pietanza anche quando gli cucino il filetto.

Nata a metà tra gli anni 50 e gli anni 60, ho vissuto anche io, come il mio ragazzo vive, un’infanzia ed una adolescenza all’insegna del benessere, ma era un benessere diverso da quello odierno, un benessere che comunque manteneva in vita dei valori, un benessere frutto di una società industrialmente e tecnologicamente in evoluzione che riprendeva ad elargire agiatezza dopo la distruzione della guerra e che non aveva ancora dimenticato.  I miei, che lavoravano sodo e facevano non pochi sacrifici, non mi fecero mancare, né si fecero mancare mai nulla da un punto di vista materiale e quindi posso solo lontanamente immaginare cosa significhi doversi adattare a mangiare vermi per sopravvivere.  Ma mi sforzo a farlo perché forse i miei genitori hanno sempre mantenuto vivo il ricordo dei tempi difficili che attraversarono in gioventù.  Mio figlio, così come forse anche i suoi coetanei, vive un benessere diverso, scontato e super-pubblicizzato dai mass-media, dove percepisco un appiattimento dei valori fondamentali.  Benchè io cerchi di inculcare in lui il principio che la statura morale di una persona non la si misura unicamente dalla marca delle scarpe che indossa, a volte mi sento smarrita nel riscontrare che lui, e purtroppo molti come lui, non abbia a tutt’oggi maturato altro ideale ed obiettivo da raggiungere se non quello di fare tanti soldi senza impegnarsi troppo e, soprattutto, senza far fatica.  Leonardo ha conosciuto gli stenti, sa cosa vuol dire la miseria, sa cos’è la fame e queste prove mortificandolo lo hanno arricchito.

“Dunque, ti stavo raccontando di essere stato in campo di concentramento – prosegui Leonardo – poi dopo un certo periodo di tempo che mi sembrò interminabile, ridotto allo stremo, mi mandarono come lavorante presso una contadina.  Questa donna si faceva in quattro per alleviare la mia condizione di detenzione ed io, grato, mi davo da fare sistemandole la casa e il podere al meglio.  Dato che era robusta, faticava a chinarsi e così la sera aveva preso l’abitudine di farsi lavare i piedi da me.  Lavaglieli oggi, lavaglieli domani, sai come vanno queste cose …. La paglia brucia vicino al fuoco …. Per farla breve siamo finiti a letto.  Fu grandiosa!”  E nel dirlo, gli brillano gli occhi.

Guardo nuovamente il mio dipinto:  se mai un gatto è stato testimone delle prestazioni sessuali del mio interlocutore e delle sue amanti, certo dovette sentirsi molto più imbarazzato del gatto del mio quadro.
“Dimmi, Leonardo, come finisti in marina ?”
“Ho incominciato a lavorare molto giovane;  a otto anni già trasportavo i sacchi di sale nelle saline di Sicilia, dove sono nato.  Non era tanto il carico sulle spalle a darti noia quanto l’acqua salmastra che dai sacchi ti scendeva giù per la schiena fin dentro ai calzoni.  Ti dico che i nostri genitali erano del colore di quel panno – e mi indica un drappo bordeaux che ricopre un tavolino su cui poggia una scultura – Camminavamo a gambe larghe tant’era il bruciore e tutto questo per ricevere a fine giornata la paga di cinque lire.  Ma erano più le volte che ti davano quattro lire e cinquanta centesimi soltanto, e se protestavi, ti prendevano per le orecchie strattonandoti e dicendoti:  se ti va è così, altrimenti te ne puoi andare bello mio !  Quello non era un lavorare, era una vita da schiavo.  Così decisi di entrare in marina come mozzo, poi raggiunta la maggiore età mi arruolai, col risultato che feci quattro anni di guerra”.

“Leonardo, quanto mi stai raccontando è appassionante.  Dovresti scrivere la storia della tua vita”.  Dal campanile della chiesa vicina si diffondono nell’aria i rintocchi delle campane che segnano mezzogiorno.  Leonardo mi prende le mani fra le sue stringendole calorosamente per accomiatarsi e intanto sorride, con quel suo sorriso accattivante e scanzonato "non sono un letterato, non so scrivere …”.  Poi si allontana.
Lo seguo con gli occhi mentre attraversa la piazza, l’andatura eretta più simile a quella di un giovane guerriero che non di un anziano reduce a riposo, il passo deciso e veloce di chi nonostante le innumerevoli, dure prove della vita è riuscito a mantenere un imperturbabile equilibrio interiore.

Guardo questo novello Odisseo a cavallo tra XX e XXI secolo allontanarsi nella piazza col suo bagaglio di esperienze che lo hanno fortificato nel corpo e nello spirito e m’immagino che da lassù anche le tre Moire di bianco vestite lo stiano osservando e, ancora più in alto di loro, l’occhio vigile del possente Zeus, che è benevolo con gli impavidi, lo stia guardando e induca Atropo la terribile dall’astenersi dal recidere, ancora per molti anni a venire, il filo della sua vita, così fantasiosamente filato da Cloto e benevolmente misurato da Lachesi.

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